GALILEOART
Un uomo quasi pelato e con una lunga barba bianca che guarda in un telescopio puntato verso il cielo. È la prima immagine che mi viene in mente quando penso a Galileo: il cannocchiale, l’oggetto che gli ha permesso di compiere alcune delle sue più grandi scoperte e che ha ribaltato la visione del mondo del tempo. Qualcun altro potrebbe pensare subito a un’altra figura che si trova nei libri, quella che raffigura lo scienziato gettare due pesi dalla Torre di Pisa. In ogni caso, il personaggio di Galileo è rimasto impresso nella nostra mentalità collettiva come il prototipo dello scienziato moderno, colui che ha “fissato” il metodo scientifico che tutt’oggi applichiamo (appunto, il metodo galileiano), un metodo aperto basato sull’osservazione sperimentale e la verifica ripetuta tramite la stessa. Ricolleghiamo istintivamente la figura di Galileo alla lotta contro l’oscurantismo (religioso, ma non solo), all’immagine di una specie di eroe positivista ante litteram, una mente “illuminata” più avanti dei suoi tempi. La parabola galileiana, molto in sintesi, consiste in questo: in opposizione al sistema aristotelico, il modello del sapere all’epoca, Galileo tenta di dimostrare la veridicità del sistema eliocentrico attraverso l’utilizzo sperimentale del cannocchiale; viene processato dell’Inquisizione e abiura le sue tesi. Una volta caduto in disgrazia, continua a lavorare di nascosto e termina i Discorsi sulle nuove scienze, una pietra miliare della scienza moderna.
Nell’ambito teatrale è interessante come Galileo e la sua vicenda siano stati più volte ripercorsi. A testimonianza del fascino e del dibattito che continuano a suscitare ancora oggi, proprio quest’anno ha debuttato al Piccolo Teatro Processo Galileo, scritto da Angela Dematté e Fabrizio Sinisi, con la regia di Andrea DeRosa e Carmelo Rifici, uno spettacolo incentrato sul rapporto tra scienza e fede e su quello tra scienza e potere, che porta a intrecciare più storie e più piani.
Comunque sia, Leben des Galilei (Vita di Galileo) è decisamente l’opera teatrale sul personaggio più famosa, uno dei capolavori di Brecht: riscritta e rivista più volte, come da abitudine, presenta tre versioni principali (come li definiva l’autore, Versuche, tentativi), anche se quelle che presentano sostanziali differenze in quanto al messaggio sono la prima e la seconda. Le riscritture rispecchiano due diverse interpretazioni della storia di Galileo, e in particolare del significato dell’abiura finale, alla luce della contemporaneità di Brecht. La prima versione, cosiddetta “danese”, completata nel 1938, viene realizzata dall’autore durante l’esilio dalla Germania nazista. Qui l’abiura di Galileo è rappresentata come un arrendersi in nome della verità, una soluzione astuta per poter continuare il proprio lavoro in pace, di nascosto dai propri persecutori. Galileo in questo caso è l’esempio dell’intellettuale antinazista che nonostante tutto resta a vivere in Germania (situazione in cui probabilmente si trovavano diversi colleghi di Brecht) e che combatte la brutalità del potere con l’astuzia, scegliendo di uniformarsi solo in apparenza. Il personaggio di Galileo è dunque positivo, l’abiura non è un tradimento, ma è anzi un “restare fedele” a ciò che più conta, ossia la ricerca, il sapere. Questa interpretazione viene completamente stravolta nella seconda versione, cosiddetta “americana”, messa in scena per la prima volta negli US nel 1947. Interessante coincidenza: poco dopo a New York debutta un’altra opera teatrale sulla storia di Galileo, Lamp at Midnight (Lume a mezzanotte) di Barrie Stavis. Nel 1945 la guerra finisce con il lancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Il fatto stravolge la visione della scienza di molti: queste grandi conquiste scientifiche e tecnologiche, utilizzate per annientare centinaia di migliaia di civili in un colpo solo, si accompagnano quindi a un totale fallimento sociale. L’idea di dare priorità al sapere, alla scienza, in sé e di per sé, anche slegandolo dalla società e dal suo sviluppo, non è affatto positiva. Nella versione “americana”, l’abiura di Galileo è un tradimento alla scienza e all’umanità, come sottolinea il protagonista nel monologo finale rivolto all’ex-allievo Andrea: “Tra voi e l’umanità può scavarsi un abisso così grande, che ad ogni vostro eureka rischierebbe di rispondere un grido di dolore universale… Nella mia vita di scienziato ho avuto una fortuna senza pari: quella di vedere l’astronomia dilagare nelle pubbliche piazze. In circostanze così straordinarie, la fermezza di un uomo poteva produrre grandissimi rivolgimenti. (…) Ho tradito la mia professione, e quando un uomo ha fatto ciò che ho fatto io, la sua presenza non può essere tollerata nei ranghi della scienza”.
Dunque, la condanna dell’autore (e del pubblico) è totale: Galileo è il “padre” della bomba atomica, nel senso che abiurando ha svuotato la scienza del suo potenziale sociale, portandola a svilupparsi su una strada aliena all’umanità. Del personaggio vengono fortemente sottolineati l’antieroismo e la materialità: “Amo le consolazioni della carne e non posso soffrire i vigliacchi che le chiamano debolezze”. Questo è un punto di contatto importante con un altro spettacolo su Galileo, questa volta più recente (2010) e in una forma molto diversa, quella del teatro di narrazione: si tratta di ITIS Galileo, di Marco Paolini (ITIS sta per Istituto Tecnico Industriale Statale, “come dire che stasera io la prendo un po’ più bassa, e quelli del classico che san già tutto… muti”). Un monologo in cui l’attore-autore riesce a restituire un personaggio e una storia complessi, rifiutandosi di “fare la morale” o piegare la vicenda a un proprio messaggio, per quanto possibile. Galileo somiglia per certi versi a quello di Brecht, anche Paolini ne approfitta per lanciare un paio di frecciatine (“hrrg, hrrrg… scusate, sto cercando di dimostrare anche fisicamente quanto sia improbabile immaginare Galileo che caca la bomba atomica”). ITIS Galileo ci restituisce il ritratto di un uomo straordinario e molto umano, un filosofo e un meccanico, un amante della buona cucina, un pessimo collega e compagno, e uno che è riuscito a rialzarsi dopo la caduta più grande, che “non si fa mettere in pensione di testa da nessuno”. Un uomo che, vecchio e “sputtanato”, è ancora capace di mettersi al lavoro e scrivere un libro che fonda la nuova fisica, quella che si basa sul metodo… galileiano, appunto. Chi era Galileo? Cosa ha fatto Galileo? Per dirla con le parole di Paolini: “Secondo me Galileo l’ha fatta grossa: ha ridimensionato la verità, ha dato dignità al dubbio, ha tolto l’errore dalla sfera del diavolo per ridarlo all’umano”.