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FINANZA SOSTENIBILE: TO BE OR NOT TO BE?

Rubrica Point Break
A cura di Valeria Colombo
20 Mar 2023

Cosa si intende per investimenti sostenibili? Come si può stabilire se un’attività economica favorisca la transizione energetica e/o il rispetto dei diritti umani? Queste e altre domande fanno parte della ricerca quotidiana di identità della finanza sostenibile e dei suoi operatori. Da qualche anno, insieme all’attenzione del grande pubblico a questo tema, è arrivata anche la complessità nel definire la sostenibilità, in particolare per gli investimenti.

Se, infatti, il mercato dei capitali è ormai largamente convinto che la finanza sia fondamentale per realizzare lo sviluppo sostenibile e che il “greenwashing” sia il nemico numero uno, meno “ampia e condivisa” risulta la definizione di ciò che è o non è sostenibile e numerose sono quindi le iniziative per arrivare a definizioni e standard comuni.

L’Unione Europea con il “Piano d’azione sulla finanza sostenibile” del 2018, ha deciso di orientare il mercato dei capitali verso un modello di sviluppo sostenibile attraverso la regolamentazione. Tra queste la “Tassonomia Europea delle attività ecocompatibili”, una classificazione delle attività che possono essere considerate sostenibili in base all’allineamento agli obiettivi ambientali dell’UE e al rispetto di alcune clausole di salvaguardia sociale. Le grandi imprese (finanziarie e non) sono tenute a divulgare informazioni in merito all’allineamento alla tassonomia e tali dati potranno essere utilizzati dagli investitori per integrare i temi di sostenibilità nelle politiche d’investimento e per comprendere l’impatto ambientale delle attività economiche nelle quali già investono o potrebbero investire.

Parallelamente alla Tassonomia, la UE ha emanato anche criteri di trasparenza per i prodotti finanziari con la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) in vigore dal 2021. Ha definito cioè requisiti informativi rafforzati per i prodotti che dichiarano di avere caratteristiche o obiettivi di sostenibilità. In questo regolamento troviamo la definizione di investimenti sostenibili: un investimento è sostenibile se contribuisce “a un obiettivo ambientale, misurato, ad esempio, mediante indicatori chiave di efficienza delle risorse” oppure “a un obiettivo sociale” come la lotta contro la disuguaglianza o la coesione sociale, “a condizione che tali investimenti non arrechino un danno significativo a nessuno di tali obiettivi e che le imprese che beneficiano di tali investimenti rispettino prassi di buona governance”.

Da due anni gli operatori stanno utilizzando questo regolamento per informare il mercato sui prodotti finanziari e sulle politiche di investimento, seppur con grande eterogeneità e con molti nodi interpretativi ancora da sciogliere.

La UE sta lavorando inoltre con altri 17 paesi all’interno della Piattaforma Internazionale sulla Finanza Sostenibile, per favorire l’elaborazione di tassonomie, standard e marchi, nonché di regole per la rendicontazione di sostenibilità uniformi tra giurisdizioni differenti. Tra queste la Common Ground Taxonomy (CGT) UE-Cina che ha ricevuto attenzione dai mercati dei capitali internazionali e dai responsabili politici e che alcuni operatori finanziari asiatici hanno iniziato a usare per etichettare i propri prodotti finanziari verdi.

Anche nel Regno Unito, la Financial Conduct Authority (“FCA”) ha annunciato una serie di misure volte a contrastare il greenwashing, tra cui la limitazione all’uso di termini “ESG”, “verde” e “sostenibile” nei prodotti finanziari, per garantire l’allineamento con le strategie e gli obiettivi sostenibili dichiarati. La FCA ha anche stabilito i requisiti di un nuovo regime di trasparenza rispetto a dati climatici per i gestori di patrimoni, i fondi pensione e le assicurazioni, basato sulle raccomandazioni della Task Force on Climate-Related Financial Disclosures (TCFD).

Negli USA la Securities and Exchange Commission (SEC) ha proposto modifiche alle regole sulla trasparenza anche in questo caso focalizzandosi sull’importanza di ampliare gli obblighi di trasparenza nelle informative per i prodotti che integrano i fattori ESG nelle decisioni di investimento: ad esempio, i fondi che dichiarano un “Focus ESG” avranno l’obbligo di riferire sulle emissioni di gas serra che riguardano il portafoglio.

Anche il Securities and Exchange Board of India (SEBI) ha fatto proposte per stabilire una regolamentazione per i rating ESG e rafforzare il quadro di riferimento nazionale per le obbligazioni verdi (green bond). Inoltre, la Reserve Bank of India ha recentemente emanato raccomandazioni per costruire la resilienza contro i rischi climatici nei portafogli di credito delle banche.

Queste iniziative ci dicono che la costruzione dell’identità della finanza sostenibile ha grande bisogno di regole e criteri tecnici condivisi a livello globale e che il percorso sarà ancora lungo ma vi posso assicurare che questa sfida è fonte di enorme motivazione per chi, come me, ha scelto di far parte di questo movimento.

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