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FAMIGLIE E NUOVI MODI DI ABITARE: L’ESPERIENZA DEL CO-HOUSING

A cura di Marta Bello e Maria Margherita Monticelli
24 Giu 2024

Mondo di comunità e famiglia (MCF) è un’associazione, costituita nel giugno 2003 per “promuovere e accompagnare esperienze di comunicazione, sperimentazione, riflessione e sintesi, tra le varie realtà che si ispirano e si interessano all’originaria ed originale esperienza della comunità di Villapizzone di Milano i cui valori sono a fondamento”. Abbiamo fatto una chiacchierata con angela passoni, che da più di vent’anni vive in una delle comunità di MCF e ci ha raccontato la sua esperienza.

Ti va di presentarti e di raccontarmi un po’ di te?

Io sono una maestra e da 26 anni insegno in una sezione ospedaliera statale al San Gerardo di Monza nel reparto specializzato in leucemie infantili e linfomi.

Vent’otto anni fa mi sono trovata vedova, incinta e con un bimbo di 4 anni e mezzo di cui prendermi cura. Un collega di mio marito, che aveva da poco iniziato a vivere in una comunità di MCF, mi ha parlato di questa possibilità e così, insieme ad altre persone che erano interessate, siamo andat3 a dare un’occhiata e ne siamo rimast3 affascinat3.

Dopo il lutto ho deciso di entrare nella comunità Nicodemo, che allora era la terza di MCF (ora le comunità sono 35 in tutta Italia, prevalentemente nel nord).

E da lì ha avuto inizio la tua esperienza in comunità…

Sì, mi ha colpita l’assoluta libertà di questa realtà. Alla base ci sono: il confronto con le altre persone, lo scambio e l’aiuto reciproco, ma soprattutto l’attenzione a instaurare relazioni profonde. Da questi elementi, nascono poi i principali “pilastri” del vivere insieme. Primo tra tutti la condivisione: è importante sentirsi liber3 di condividere il nostro pensiero e vissuto senza che questo diventi mai fonte di discussione.

Inoltre, sono fondamentali il mutuo aiuto tra famiglie e, soprattutto, l’assoluta sovranità famigliare. Uno dei nostri fondatori, Bruno, spesso diceva “Bisogna vivere con la porta aperta ma bisogna avercela la porta”, vuol dire che di solito viviamo con la porta delle singole case aperta, ma quando è chiusa indica un bisogno di privacy e intimità. È proprio così: siamo cinque grandi famiglie che vivono molto vicine e in sinergia, ma ogni famiglia deve poter continuare a decidere della sua vita, dei suoi figli e delle sue figlie, secondo dinamiche e regole interne che ritiene più giuste ed è importante rispettare gli spazi di tutt3.

Spesso siete anche luogo di accoglienza, giusto?

Sì, ci capita spesso di accogliere delle persone, soprattutto giovani in situazioni di difficoltà. Io stessa ho accolto una mamma africana con i suoi due bambini. È stato davvero faticoso, ma la soddisfazione di vederl3 attualmente indipendenti è impagabile.

Come funziona la vita in comunità?

Vivere insieme è un aiuto morale, pratico e di grande profondità relazionale.

A livello “pratico” abbiamo creato una cassa comune sotto forma di trust, significa che ognunə di noi ha il suo conto personale dal quale versa lo stipendio in quello comunitario, da cui poi paghiamo tutte le spese comuni: bollette, manutenzione dell’edificio e anche la spesa perché abbiamo una dispensa comune (poi ognunə è liberə chiaramente, di mangiare ciò che vuole e di comprare ciò che desidera per sé, se non lo trova in dispensa). Da questo conto comune si preleva anche per le proprie spese personali e private. Fiducia e rispetto reciproco non possono di certo mancare! Questo non vuol dire che “tutto è di tutt3”, non siamo una comune. Ogni famiglia ha il suo appartamento, la propria macchina, bicicletta... Poi ci sono anche degli spazi comuni, come la dispensa, il giardino o l’orto di cui ci siprende cura in condivisione.

Ci tengo comunque a sottolineare che, anche se viviamo in comunità non siamo isolat3 dal mondo: ognunə di noi coltiva le proprie relazioni anche al di fuori: va al lavoro, frequenta collegh3, amici e amiche, familiari.

E a livello relazionale? Ci sono dei momenti di condivisione?

Dipende dalle singole comunità. Nel nostro caso, ed esempio, abbiamo l’abitudine di organizzare ogni settimana (circa) una serata diversa da trascorrere insieme. Un esempio è la serata tisana nella quale si discute di questioni più organizzative; oppure la sera per gli-le ospit3 in cui ci confrontiamo, spesso anche con figure esperte per capire come aiutare al meglio le persone che accogliamo.

Una domenica al mese, inoltre, ci troviamo per lavorare nel giardino, pranzare e avere un momento di condivisione pomeridiano sui temi più variegati.

Quali sono gli aspetti più belli e quali i più complessi di questa esperienza di co-living?

Credo che tra gli aspetti più belli ci siano la libertà e l’elasticità: entrare in comunità è una scelta libera, come lo è restarci o uscirne. Nessunə ti giudica, qualsiasi sia la tua decisione. Crescendo qui, poi, anche i bambini e le bambine vivono e si sviluppano in un clima di accettazione della diversità e di confronto con le altre persone che l3 circondano, arricchendosi notevolmente a livello umano. Questo costante confronto implica però anche delle difficoltà. Non ci siamo scelt3, ci siamo trovati per caso. La relazione, chiaramente, non è sempre facile. Ma, per me, quel po’ di fatica che si fa, viene decisamente compensata da tutta la bellezza che torna indietro: posso dire che ho tantissim3 fratelli e sorelle (oltre alla mia di sangue) con cui condivido questa esperienza di co-housing e anche se mi sono chiesta, ovviamente, se per me valesse la pena continuare a stare qui ora che mio figlio e mia figlia sono andat3 via di casa, la risposta è sempre sì.

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