Privilegi e alleanze

Essere uomo è un privilegio

Rubrica SGUARDI
A cura di Francesco Reale, Segretario Generale Fondazione Adecco ETS
18 Dic 2024

Nella nostra quotidianità sentiamo parlare continuamente di fenomeni quali il gender gap, il gender pay gap, la gender equity, la motherhood penalty – la lista potrebbe continuare a lungo – e allo stesso modo, siamo costantemente esposti all’espressione “violenza di genere”, che riempie le cronache talvolta anche declinata in “violenza fisica”, “violenza psicologica”, “violenza verbale”, “molestie”, “maltrattamenti”, e ci racconta di una tragica escalation, segno del fallimento di un’intera società. Ma chi parla realmente di queste tematiche? Per lo più lo fanno le donne. Donne coraggiose, che hanno scelto di stare in prima linea, o che, loro malgrado, vi si trovano ogni giorno. In prima linea al lavoro, a scuola, all’università, nel tempo libero, a casa. Sempre. Perché essere donna non è un privilegio, anzi. Ce lo dicono i dati, i fatti di cronaca, i numeri impietosi dei consigli di amministrazione, della politica, dei convegni, lo dicono persino le canzoni e lo conferma anche il non poter tornare a casa di notte da sole, la paura di andare in un parcheggio o in una stazione, gesti semplici e banali ma banali solo per un uomo. Ma cosa succederebbe se fossero gli uomini a parlare di violenza di genere, riconoscendo di essere parte del problema? Credo che uno dei punti chiave sia proprio questo: noi uomini raramente discutiamo dell’impatto che abbiamo sulla questione di genere. E attenzione, farlo non significa rubare la parola alle donne o parlare di temi che non si conoscono, anzi. Significa porsi in ascolto con umiltà e senza pregiudizi, diventare alleati e riconoscere che le proprie azioni, i propri bias, hanno un peso enorme sulla vita delle donne. La verità è che siamo così immersi nella società che noi uomini abbiamo costruito secolo dopo secolo, così convinti di essere nel giusto, da non accorgerci nemmeno dell’assenza di diritti fondamentali, dell’iniquità, ad esempio, nei luoghi di lavoro. Ci indigniamo di fronte alla cronaca più atroce – spesso presentata con prospettive e linguaggi sbagliati – ma poche ore dopo diventiamo complici di uno sguardo, di un sorrisetto, di una battuta inopportuna. Assistiamo a convegni o riunioni senza notare che ci siamo solo noi uomini, perché i nostri occhi non sono stati educati a vedere il genere, ma a registrare consuetudini. Io devo ringraziare le donne per questa autocritica: mia moglie, le mie colleghe e le beneficiarie dei progetti di Fondazione Adecco che ho incontrato in questi anni. Riconoscere di essere privilegiati è fondamentale. Questo privilegio non ce lo siamo guadagnati: non c’è alcun merito, nessuna battaglia vinta, nessuna fatica. Da qui dobbiamo ripartire. Se come Fondazione Adecco abbiamo così tanti progetti rivolti alle donne è perché, ad oggi, essere donna significa vivere una maggiore vulnerabilità e fragilità. In un mondo realmente equo, i progetti dovrebbero essere dedicati a tutte le persone fragili, senza distinzione di genere, perché la fragilità non dovrebbe avere un genere. Lasciatemi però immaginare, più che sperare, che queste riflessioni sorgano più spontaneamente tra le persone della mia generazione mentre i nuovi uomini vivono e crescono in un contesto più aperto, in cui il patriarcato sta indietreggiando, la genitorialità è condivisa, i diritti e le carriere sono più equi, l’empatia prende il posto dell’indifferenza. Mi piace pensare che la Gen Z e i Millennials trovino le discriminazioni intollerabili, perché per loro l’unicità delle persone è una ricchezza. Perché un Paese che non colma le disuguaglianze non ha futuro. E non parlo solo di genere.

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