ESISTE UN’ETÀ IN CUI SI SMETTE DI ESSERE DONNE?

02 Ott 2021

Intervista a Stéphanie Chuat, regista di Ancora donne, documentario che racconta il mondo invisibile delle 

donne over 60 e della loro intimità.

L’ageismo è la discriminazione del nostro secolo, è trasversale e subdola, colpisce tutti e tutte, indifferentemente dalle condizioni sociali o economiche. La nostra cultura è impregnata di gerontofobia, le parole che usiamo nel nostro quotidiano (“nonostante la tua età”, “riesci ancora a…”, “sei vecchia”) raccontano l’invecchiamento come un problema, qualcosa da cui sfuggire. C’è di più: l’ageismo è ancor più subdolo e feroce quando si riferisce alla sessualità e al corpo, soprattutto delle donne, come racconta Ashton Applewhite nel suo “Manifesto contro l’ageismo”. Il corpo delle donne, che fino ai 50 anni viene misurato e giudicato secondo i canoni estetici della perfezione, improvvisamente diventa inesistente, accessorio, invisibile. Il documentario sulla sessualità delle over 60 “Ancora donne” di Stéphanie Chuat e Véronique Reymond apre la porta sull’intimità di cinque sessantenni alle prese con la loro battaglia contro la solitudine, in un’età della vita in cui gli uomini sono scomparsi dai loro universi affettivi. Messe nell’angolo dell’invisibilità dai tanti pregiudizi e stereotipi che vedono questo tempo di vita con una sola lente: quella dell’inevitabile viale del tramonto, in cui si vive solo di bisogni, non di sogni, desiderio voglia di mettersi in gioco e cambiare. Le cinque protagoniste di Ancora Donne ci mostrano e insegnano che non è l’età a definire cosa sia giusto o possibile, ma come decidiamo di vivere ogni fase della vita, fatta di molti condizionamenti culturali e sociali.

Stéphanie Chuat, regista di Ancora Donne, qual è il motivo per cui avete deciso di girare questo film? 

Io e Véronique lavoriamo nel teatro e, negli anni, abbiamo notato che la maggior parte del pubblico dei nostri spettacoli erano donne over 60. Un’altra cosa che ci ha fatto riflettere è che superati i 55 anni vedevamo solo donne che frequentano altre donne della stessa età. Questa separazione tra i generi ci ha un po’ spaventate e ha aperto a domande che, poi, hanno portato al film. 

Le donne che raccontate hanno legami tra loro nella vita reale? 

Le nostre protagoniste non si conoscevano prima del film. Per trovarle abbiamo lanciato una call durante un programma tv, abbiamo lasciato il nostro contatto e centinaia di donne hanno risposto. Quando chiamavano, ci ringraziavano dicendo “Grazie perché ci sentiamo invisibili, come se non fossimo più parte della nostra società”. Abbiamo fatto le prime selezioni tramite interviste e abbiamo individuato cinque donne. Si sono incontrate esclusivamente quando abbiamo mostrato loro il film, per la prima volta, ed è stato un momento incredibile di confronto e sostegno reciproco. Da lì in avanti tra alcune è nata una bella amicizia. 

Il film è ambientato in Svizzera, ma il tema è talmente trasversale che avrebbe potuto essere girato in qualunque altra parte del mondo. Qual è stata la risposta del pubblico fuori dalla Svizzera? 

È stato molto difficile ottenere finanziamenti per questo film perché nessuno trovava interessante il fatto che raccontassimo la vita di donne “normali”, over 60 per di più. Volevano che rappresentassimo delle eroine oppure storie straordinarie di donne normali. In quel momento ci siamo accorte di quanto le donne over 60, i loro bisogni, i loro sogni, i loro corpi siano invisibili nel nostro Paese. 
Quando il film ha iniziato la sua distribuzione abbiamo visto come questo tema sia trasversale a ogni cultura: le donne, in Europa come negli Stati Uniti, si sentivano connesse con le “nostre” protagoniste perché si riconoscevano nei racconti, hanno colto l’universalità del tema dell’età e del sentimento di invisibilità. 

Quali sono le cose più potenti che emergono dal film e dai racconti delle donne? 

Quando abbiamo iniziato a girare non avevamo idea che il film potesse andare in questa direzione. È un film documentario, quindi ci siamo affidate all’osservazione e alle parole delle nostre protagoniste. Realizzando le interviste, ci siamo accorte che il tema più potente, per loro, era l’amore. Sentivamo che si illuminavano quando parlavano di amore, perché è un sentimento che attraversa davvero ogni età. Allora siamo andate in quella direzione. Cosa significa amare, essere amate, avere una vita sessuale attiva oppure sentirsene private? 

Come siete riuscite a convincere le protagoniste a mostrarvi la loro intimità? 

Queste donne avevano il desiderio di raccontarsi, volevano testimoniare qualcosa. Per questa ragione hanno deciso di “mostrare in camera” la propria vita, le proprie paure, il proprio quotidiano. Era la prima volta che si facevano riprendere: hanno trovato il coraggio poiché avevano davvero voglia di comunicare al mondo, alla società in cui vivono. 

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