Privilegi e alleanze

Elisa Ercoli: Differenza Donna

Intervista ad Elisa Ercoli, Presidente di Differenza Donna.
A cura di Marta Bello
18 Dic 2024

Quando è diventata Presidente di Differenza Donna e quali sono state le più grandi sfide che ha incontrato?

Sono stata eletta Presidente per la prima volta dieci anni fa, nel 2014, all’età di 44 anni. Facevo parte dell’Ong già dai 23 anni, quindi conoscevo bene le sfide politiche, operative e culturali, avendo già ricoperto ruoli come responsabile di centri antiviolenza, antitratta e project manager. Come Presidente, ho affrontato principalmente due sfide. La prima, di natura pratica e interna è stata trasformare un’associazione di donne in una realtà capace di sviluppare competenze organizzative e tecnico-amministrative per affrontare le difficoltà del terzo settore. Il nostro bilancio dipende dai progetti vinti e dai finanziamenti, spesso erogati in ritardo. La mia priorità è stata garantire la sostenibilità economica di tutte. Abbiamo introdotto cambiamenti importanti, come l’estensione dei contratti e il pagamento regolare alle collaboratrici, anche in assenza di fondi istituzionali. Questo ci ha permesso di rendere le nostre vite più stabili, anche se è ingiusto dover compensare i ritardi istituzionali. Incrementare le collaborazioni con il settore profit è stato fondamentale.
La seconda sfida è stata mantenere la nostra autonomia e autorevolezza nel discorso pubblico sulla violenza. Anche se il lavoro con le istituzioni è fondamentale, dobbiamo evitare che la nostra voce venga semplificata o compromessa. Dobbiamo continuare a portare all’attenzione pubblica le violazioni strutturali che incontriamo, come le ingiustizie subite dalle donne nei tribunali, dove spesso vengono ritenute responsabili delle violenze subite. La nostra sfida è rimanere un punto di riferimento fermo e cruciale nella lotta contro la violenza e nella sua prevenzione.

Lei ha avuto una lunga esperienza a livello internazionale, anche in luoghi molto complessi. C’è qualcosa in particolare che ha piacere di raccontare?

Prima di tutto, ci teniamo a sottolineare che siamo nate come associazione e siamo diventate ONG grazie al nostro lavoro nei centri antiviolenza. La Banca Mondiale e la cooperazione italiana ci hanno coinvolte in progetti di cooperazione, portandoci a lavorare per dieci anni in Medio Oriente, in particolare in Palestina. Lì abbiamo ideato, costruito e gestito il centro antiviolenza più grande della regione, il centro Mewar a Betlemme. Questo ci rende una ONG unica: non esportiamo democrazia, ma lavoriamo nei Paesi del sud del mondo partendo dalla nostra profonda conoscenza del patriarcato in Italia, applicando pratiche femministe sperimentate con successo, come la creazione di centri antiviolenza. Abbiamo aperto centri in Palestina, Russia, Kazakistan, Nicaragua, Marocco, e ora anche in Senegal e Siria. In questo percorso, abbiamo scoperto ciò che Shirin Ebadi descrive come un unico popolo diffuso in tutto il mondo: le donne, che pur vivendo in contesti diversi, condividono esperienze simili e si liberano dallo stesso potere oppressivo. Questa sorellanza globale è potente e bellissima, l’antitesi del patriarcato. È impressionante vedere donne palestinesi combattere contro la violenza domestica o le donne siriane, con le bombe sopra la testa, rivendicare il diritto di non essere vittime di abusi. Quando vedi tutto ciò, ti rendi conto della grande responsabilità che abbiamo come donne in Italia. Le differenze che portano gli uomini a fare guerre, per noi sono ricchezze, motivo di curiosità, creatività e scambio, un vero antidoto alla visione patriarcale. Incontrare donne di culture diverse, con abitudini e rituali differenti, è affascinante. Ho vissuto momenti importanti con donne siriane, palestinesi e russe, e ciò che più porto con me è questa sorellanza trasversale che esiste in tutte le società. La violenza patriarcale maschile contro le donne è identica ovunque. Certo, ci sono differenze, in Afghanistan le donne non possono cantare, mentre io posso farlo. Ma la radice del patriarcato è la stessa, ovunque: il potere.

Dato che è stata responsabile del centro antitratta, mi racconta qual è la portata di questo fenomeno in Italia? 

Non solo sono stata responsabile del centro antitratta, ma ero già un’attivista dentro Differenza Donna quando mi sono laureata, con una tesi in Scienze Politiche e Organizzazione Internazionale alla Sapienza, sull’evoluzione della tutela giuridica internazionale delle donne, con particolare riferimento alla prostituzione coatta, come si chiamava all’epoca. Si parla sempre meno di tratta di esseri umani, non perché il fenomeno sia diminuito, ma perché l’Italia ha rinunciato da almeno 20 anni a fare grandi processi contro la tratta di esseri umani. Le indagini su questi crimini sono internazionali e molto costose, e all’Italia non importa. Il sistema giudiziario stesso era già pronto a giustificare questa decisione, dato che abbiamo due tribunali distinti: la Corte d’Assise, che si occupa dei reati più gravi, inclusa la tratta di esseri umani, e il tribunale ordinario. Tra i due tribunali non esiste nessun collegamento, per cui è tutto ancor più difficile. Le forze dell’ordine, che sono sul territorio e vedono direttamente le vittime, spesso non hanno gli strumenti né una formazione sufficiente per distinguere certe situazioni, per cui tendono a identificare solamente i reati minori, senza affrontare davvero lo sfruttamento sessuale come riduzione in schiavitù e la tratta di esseri umani, gestiti dalla criminalità organizzata. Questo è un problema enorme ed è strettamente collegato all’abbandono, da parte dello Stato, di interi territori. Non combattere la criminalità organizzata significa cedere la sovranità dei nostri territori alla criminalità nazionale e internazionale, che spesso collaborano. È gravissimo perché i nostri territori diventano sempre meno sicuri, e stiamo rischiando di abituarci a questa situazione.

Differenza Donna ha un approccio femminista e inclusivo, fondamentale per la tutela anche delle donne appartenenti a comunità minoritarie e spesso marginalizzate…

Il nostro approccio femminista riesce a mantenere lucidità anche in contesti dove nuove culture alternative al tradizionalismo hanno creato confusione. Approcci che sembravano innovativi proponevano in realtà un determinismo culturale che riportava in auge idee antiche, giustificando la violenza come naturale. Questo processo è stato fatto soprattutto da alcuni antropologi di sinistra. Il femminismo, grazie alle sue pratiche e capacità di analisi, ci ha sempre permesso di evitare questi tranelli, aiutandoci a comprendere che la violenza è una forma di controllo basata su una gerarchia in cui l’unico soggetto considerato razionale è l’uomo bianco. Tutte le altre “categorie” di esseri umani come donne e persone nere, sono state considerate irrazionali per secoli. L’intersezionalità è sempre stata centrale nelle nostre pratiche e ci ha permesso di riconoscere che l’appartenenza a determinati gruppi può aumentare l’esposizione alla violenza. Nelle coppie lesbiche e omosessuali, come in quelle eterosessuali, può esserci violenza a causa della riproduzione dei ruoli di genere stereotipati, un fenomeno che abbiamo svelato nel nostro lavoro. La nostra solidità culturale ci ha permesso di navigare queste complessità senza cadere nei tranelli storici.

Lei crede che gli uomini possano essere alleati delle donne nella costruzione di modelli più equi per la società? 

Io penso assolutamente di sì. Uno degli aspetti più importanti di questo periodo storico è spiegare agli uomini quanto il patriarcato abbia tolto anche a loro. Invece di parlare di una “crisi di identità maschile”, dovremmo spiegare loro che non c’è nessuna lotta “donne vs uomini”, ma che in realtà, stiamo lottando tutti e tutte contro il potere patriarcale. Se gli uomini riuscissero a sottrarsi a questa narrazione, al tentativo di strumentalizzazione che si sta agendo da tanti anni contro di loro, e avessero chiaro che il potere contro cui stanno lottando è il potere di violare dei corpi di donne, bambine e bambini, sono certa che molti di loro non si sentirebbero di rivendicare quel potere. Però questa è una storia nascosta.
Fino al 1996, in Italia, la violenza contro le donne era normata. Fino al 1975, le donne potevano essere picchiate in famiglia senza alcun diritto. Nei rari casi in cui la donna possedeva un conto proprio, il marito ne era il tutore economico per legge, e fino al 1981 esistevano pratiche come il delitto d’onore e il matrimonio riparatore, che giustificavano violenze e stupri. Fino al 1996, lo stupro era considerato un reato contro la morale pubblica, ciò significa che noi donne non eravamo nemmeno soggetti di diritto. Ecco, quando noi capiamo che il privilegio che gli uomini hanno mantenuto sino al 1996 in Italia era un privilegio di fare violenza alle donne e di avere una giustificazione, e che ha creato una gerarchia di potere normata dalla legge in cui le donne vivono in una condizione di subalternità, cosa decidiamo di fare? Gli uomini possono non essere tutti violenti, ma se non si liberano tutti da questa cultura mantengono quei privilegi. Devono prenderne consapevolezza e allora, solo a quel punto, è chiaro che certi privilegi debbano essere assolutamente negati, allontanati, non accettati. E dev’essere fatto da tutti gli uomini. Educare i giovani è fondamentale, alfabetizzandoli a livello emotivo e sessuale, spiegando ai ragazzi come avvicinarsi con rispetto ai corpi delle donne.Nei secoli hanno provato a giustificare in tutti i modi possibili una “naturalezza” della subalternità delle donne; invece, abbiamo scoperto che tutto ciò che ci hanno raccontato fin dalla preistoria, come i ruoli stereotipati di genere (in cui lei si dedicava all’agricoltura dei figli e lui andava a caccia) sono sbagliate e risultano prive di fondamento storico.Gli uomini oggi possono scegliere di avere relazioni libere con le donne che hanno accanto, libere nel senso liberate dalla violenza. Possono decidere di essere dei genitori senza pretendere di avere la patria potestà che c’era un tempo, e quindi devono capire come la loro identità rimane in piedi senza autorità e potere. Molti uomini hanno sofferto per relazioni disfunzionali con i loro padri e nonni. Io racconto sempre di mio padre, che non ha potuto accudire sua madre e suo padre perché non era stato abituato a vedere la vulnerabilità dei corpi e questo lo portava a stare male, a svenire. Per secoli, e ancora oggi, gli uomini sono stati relegati in una dimensione di analfabetismo emozionale, che genera grande frustrazione. Le nuove forme di paternità, che ancora ci stupiscono e ci emozionano tanto, sono caratterizzate da cura e attenzione, rappresentano un cambiamento significativo e positivo. Proviamo grande tenerezza nel vedere un padre che accudisce unǝ neonatǝ perché è una cosa completamente nuova e si collega a decenni di sofferenza umana, una sofferenza condivisa, collettiva. Tutte le donne e tutti gli uomini di oggi hanno subito la freddezza dei loro padri. Prenderne consapevolezza può aiutare a rompere il ciclo delle sofferenze inutili e noi oggi, per fortuna, possiamo scegliere tutte e tutti che vita avere, che persone essere.

Il tema del consenso è centrale e fondamentale, a tal proposito cosa ne pensa delle ultime direttive approvate anche a livello europeo in merito al contrasto della violenza di genere? 

Abbiamo lottato intensamente contro la direttiva dell’Unione Europea, poiché avevamo partecipato alla stesura della prima bozza del Parlamento Europeo, una versione molto più avanzata e attuale, che affermava con forza la cittadinanza delle donne. Tuttavia, l’ultimo testo è stato pesantemente modificato dal Consiglio, e la mancata riaffermazione del consenso in questa direttiva ha mostrato chiaramente come non solo in Italia, ma in molti paesi europei, il tema venga considerato troppo divisivo e avanzato. Questo è un punto su cui noi, come donne, siamo ferme da decenni: il consenso è fondamentale, e l’assenza di una sua chiara definizione è come uno stupro legittimato. È frustrante vedere che, mentre per noi è ovvio da tempo, gli uomini, sia a livello individuale che di sistema, non siano ancora pronti ad accettare questa realtà.Questa decisione rappresenta una grave perdita, poiché ogni volta che si sacrifica la piena soggettività e i diritti delle donne è una violazione profonda. Questo è ancora più evidente se si considera che l’Unione Europea aveva appena ratificato la Convenzione di Istanbul, dove la definizione di stupro è chiarissima: qualunque atto sessuale senza consenso. Nonostante ciò, questa direttiva ha ignorato tale principio, infliggendo una ferita non solo a noi donne, ma anche alla coerenza delle politiche europee. La mancanza di coraggio dimostrata dal Parlamento Europeo è sintomatica del nostro tempo, dove anche chi si dichiara progressista adotta, in realtà, un approccio conservativo e che non tutela le cittadine donne, che costituiscono il 50% della popolazione.

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