EFFETTO MATILDA - Riconsegniamo alle donne i propri meriti
Paola Mascaro
Il rover Rosalind Franklin del programma ExoMars che partirà per Marte nel 2022 porterà nello spazio il nome della grande scienziata inglese che, nel 1953, fu vittima di uno dei peggiori furti scientifici della storia. Una sua foto e le sue misurazioni cristallografiche fornirono a James Watson e Francis Crick il tassello mancante per la descrizione della doppia elica del DNA, ma al suo lavoro non fu tributato il giusto riconoscimento.
L’importanza del contributo che ha dato a una delle più importanti scoperte del ventesimo secolo è stata riconosciuta solo dopo la sua morte (prematura) nel 1958. Il caso di Franklin è un esempio del cosiddetto “effetto Matilda”, cioè la tendenza, in ambito non solo scientifico, di assegnare a un uomo i meriti di una collega donna. Spinti dallo spirito di competizione, Watson e Crick avrebbero probabilmente usato in maniera altrettanto spregiudicata i risultati prodotti da uno scienziato, ma le loro dichiarazioni e i loro scritti lasciano trapelare gli evidenti pregiudizi che nutrivano su “Rosy” (come la chiamavano, con sussiego) e un generale atteggiamento di sufficienza nei suoi confronti.
Pregiudizi di genere contro cui Rosalind Franklin si trovò a combattere per tutta la vita e che oggi, nonostante siano passati più di 60 anni, rimangono purtroppo assai radicati nel settore tecnico-scientifico.
Il diffuso stereotipo della scarsa attitudine delle ragazze per le discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) è, infatti, un problema quanto mai attuale che contribuisce ad alimentare il gender gap sia nell’ambito degli studi sia nelle opportunità professionali in ambito tecnico-scientifico. In Italia le laureate sono pari al 56% del totale e rappresentano il 59,3% degli iscritti a dottorati di ricerca, corsi di specializzazione o master (Censis, 2019). Eppure, rimangono fortemente sotto-rappresentate in tutti i percorsi di laurea STEM: sono solo il 22% nelle lauree ingegneristiche e addirittura il 13% in quelle del settore informatico. A livello internazionale il dato è solo leggermente più confortante. Come riporta il World Economic Forum, a livello globale le ricercatrici in ambito scientifico sono il 30% del totale.
I cambiamenti professionali causati dalla pandemia e dall’esplosione del fenomeno dell’home working rischiano di acuire questa disparità. Come mostrato dalla ricerca #IOLAVORODACASA condotta a marzo 2020 da Valore D, le nuove modalità di lavoro smart hanno inizialmente consentito alle donne di lavorare e gestire - allo stesso tempo - la cura di casa e famiglia. Nel giro di poco tempo, però, queste modalità sono diventate una trappola: un terzo delle donne si è trovata a lavorare più di prima, mentre la stessa condizione ha riguardato solo un uomo su cinque. Del resto, come mostrano i dati IPSOS, in Italia il 74% delle donne porta sulle spalle tutto il peso della gestione familiare. Il rischio è una rinuncia all’occupazione da parte delle lavoratrici, in un Paese in cui il tasso di occupazione femminile, fermo al 49,5%, è tra i più bassi d’Europa.
Questa tendenza è particolarmente preoccupante se si considerano i cambiamenti che la quarta rivoluzione industriale introdurrà nel panorama del lavoro. Centinaia di migliaia di professioni, nel corso dei prossimi anni, saranno rese superflue dall’avvento dell’intelligenza artificiale: le donne rischiano ancora una volta di subire, più degli uomini, le conseguenze di questo riassetto. Secondo Angela Berg, responsabile della ricerca “When Women Thrive” condotta da Mercer su più di 1150 aziende in 54 paesi, infatti, “le donne ricoprono posizioni di lavoro più vulnerabili alla progressiva automazione del lavoro”.
Per questo le iniziative a favore delle pari opportunità devono rendere prioritario l’incentivo al “reskilling”, cioè l’acquisizione di nuove abilità professionali a prova di futuro. Inoltre è importante che nell’ambito STEM un numero sempre maggiore di donne ricoprano ruoli emergenti nei settori destinati a plasmare il futuro della società digitale. I dati del Global Gender Gap 2020 pubblicato dal World Economic Forum mostrano come, nell’ambito del cloud computing, ad esempio le donne rappresentino oggi solo il 12% della forza lavoro, mentre nella data science e nella programmazione delle IA sono il 15% e 26%. Ancora troppo poco. Una maggiore occupazione femminile in questi settori è fondamentale non solo per colmare il gender gap nell’ambito delle discipline tecnico-scientifiche, ma anche per prevenire che i pregiudizi di genere della società contemporanea diventino, domani, un “bias” integrato delle intelligenze artificiali, riproponendo in forma digitale le stesse disparità e gli stessi pregiudizi che combattiamo da anni.
Un esempio del problema lo ha fornito un software sviluppato ad uso interno da Amazon per valutare in automatico i curricula dei futuri dipendenti. L’IA alla base del sistema aveva “studiato” lo storico di dieci anni di candidature e aveva interpretato la prevalenza di profili maschili come elemento da premiare, penalizzando le candidate donna e perpetuando così i pregiudizi e gli stereotipi del settore. Individuato il problema, Amazon è subito corsa ai ripari e ha corretto manualmente il programma. Come indicato in un recente studio di Boston Consulting Group (“What’s Keeping Women Out of Data Science” - BCG, 2020), le aziende del settore tech dovrebbero incentivare la presenza femminile nei team che si occupano di analisi dei dati e di programmazione delle intelligenze artificiali non solo per favorire l’inclusione, ma anche per garantire che i modelli di dati utilizzati per il machine learning producano risultati più accurati ed equilibrati, dunque più attendibili.
Per riuscire a colmare questo gap, è necessario comunicare in maniera efficace l’utilità pratica del lavoro di data scientist (una professione di cui - sempre secondo i dati di BCG - il 45% delle donne dice di non conoscere le finalità) e di posizioni analoghe in ambiti chiave per il futuro della società. Più in generale, dobbiamo riuscire a rendere più attraenti le professioni tecnologiche per le giovani donne, con la promozione attiva di role model femminili e con nuove modalità di insegnamento che favoriscano la curiosità verso le materie scientifiche. Servono, durante tutto il percorso formativo, metodi di apprendimento basati sul gioco, sull’esperimento e sulla risoluzione di problemi come introduzione al metodo scientifico. Solo con un cambiamento culturale che coinvolga in primo luogo la scuola e le famiglie, infatti, potremo vincere gli stereotipi che limitano la presenza femminili negli ambiti tecnico-scientifici, cogliendo le opportunità di inclusione che il cambiamento tecnologico porta con sé. Per essere sicuri, così, che alla prossima Rosalind Franklin verranno tributati subito tutti i meriti che le spettano.