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DONNE IN BILICO: IL PESO INVISIBILE DEL CARICO MENTALE

A cura di Alessia Mosca
30 Mar 2024

Se l’associazione carico mentale e donne è nota da tempo, come lo sono le discussioni a riguardo, solo da poco si è alzato il velo sull’effetto del mental load sul benessere delle persone, il suo impatto sulle caregiver (madri, lavoratrici, figlie) e, da qui, sulla società in modo esteso.

In Europa mediamente il 70% delle donne si dedica quotidianamente alle necessità di casa e cucina per la famiglia. Percentuale che scende al 34% tra gli uomini. Il 93% delle madri si occupa ogni giorno dei figli sotto i 18 anni, contro il 69% dei padri. In Italia, nello specifico, si spendono circa 4 ore al giorno nei lavori domestici o di cura. Ma la media si calcola unendo due estremi molto diversi: oltre 5 ore le donne, poco più di 2 gli uomini.

La sproporzione nella distribuzione dei carichi grava sul genere già penalizzato da un pay gap importante, limitato nell’accesso alle carriere, che più tipicamente si trova in situazioni di dipendenza economica ed è esposto a certi rischi per la salute. Uno sbilanciamento però invisibile, perché “scontato”. «Anche le donne che lavorano a tempo pieno sono riuscite ad interiorizzare e a giustificare le ore di lavoro domestico in più che si accollano», scriveva la giornalista Annalisa Monfreda.

Da decenni le donne aspirano e possono lavorare alla loro realizzazione professionale oltre che familiare. Studiano e immaginano una carriera, una vita sociale soddisfacente, magari una famiglia con carichi condivisi nella coppia. Ma ilconto del modello “have it all” è diventato impraticabile. Ma oggi il re è nudo: a causa dei lockdown protratti, con la quotidianità rinchiusa in ambienti ristretti, si sono esasperati i livelli di stress e sono venuti a galla estensione e peso del carico mentale. Dover gestire le necessità di tutti i giorni durante la pandemia ha mostrato tutta la fragilità (mentale e fisica) della condizione delle donne. Ecco da allora aumentare depressione, ansia, insonnia, la sensazione di sopraffazione e di grave difficoltà nel controllo del tempo. Pensiamo, per esempio, alle conseguenze del cosiddetto burnout genitoriale, causato dall’accumularsi delle responsabilità di gestione dei figli. Sperimentato anche dagli uomini, sono le madri a soffrirne maggiormente. Affaticate mentalmente e fisicamente, costantemente impegnate a decidere e organizzare la quotidianità della famiglia, sia per le breadwinner come per le stay at home mums il “secondo turno” dell’impegno domestico è sempre più causa di condizioni invalidanti. Eppure, viene poco riconosciuto dai partner, dai datori di lavoro, dalle stesse strutture sanitarie.

La “rivoluzione è bloccata” – parafrasando la sociologa Arlie Hochschild che ne scriveva già a fine XX secolo. All’incremento del numero di donne che sono andate a lavorare fuori casa, non è corrisposto un cambiamento culturale nei luoghi di lavoro, nelle politiche, nella mentalità generale. Non sono stati rielaborati i ruoli, ripensata la visione sulle incombenze oltre l’occupazione, né tantomeno la redistribuzione deipesi. Continuano a mancare programmi per migliorare l’equilibrio vita-lavoro e le stesse analisi sulle conseguenze della sproporzione del mental load sulla salute delle donne.

Dato che anche quelle con occupazioni stabili sono a rischio, non è difficile capire quanto sia alta la possibilità di finire vittime di aggressioni fisiche e psicologiche sul posto di lavoro oltre che a casa. Con tutte le conseguenze che questo ha sull’economia dei Paesi.

Segnalava il World Economic Forum a gennaio: un migliore stato di salute femminile nel mondo permetterebbe l’aumento della loro partecipazione attiva al mercato del lavoro e a un incremento del 1,7% del PIL pro capite.

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