10 domande a ERSILIA VAUDO SCARPETTA ESA - Agenzia Spaziale Europea

21 Ott 2019

A cura della Redazione

Che bambina era? Che tipo di educazione ha ricevuto? Quanto la diversità culturale ha influenzato la Sua crescita e in che modo?

Sono nata e cresciuta in una piccola città sul mare, Gaeta, dove ho avuto il privilegio di poter vivere un’infanzia leggera e libera, di giochi sulla spiaggia, giri in bicicletta e ginocchia sbucciate. Mio padre era capitano di marina mercantile e mia madre biologa/chimica, con una grande passione per la matematica. Sono quindi sempre stata incoraggiata a coltivare la curiosità, come spinta imprescindibile a porsi domande e a perseguire quel sentimento di libertà e stupore che provi quando ti trovi ogni giorno davanti l’orizzonte. Le mie passioni di allora? I miei fratelli, il mio Laser a vela e i libri. Crescere al Sud, in particolare in una cittadina di marinai e pescatori come Gaeta, plasmata nella storia dall’incontro tra tante culture diverse, mi ha definita nella capacità di accoglienza e nella attrazione che ho sempre provato verso ciò che non conosco.

Cosa sognava di diventare da grande?

Oceanografa o scrittrice.

Che percorso di studi / formativo ha avuto? In Italia o all’estero?

Dopo il liceo scientifico ero piuttosto indecisa circa le scelte da fare. Pur amando le materie scientifiche, I miei interessi di adolescente risedevano altrove, e nulla mi dava più emozione di una poesia, di un libro. Ma da diciottenne tormentata quale ero, temevo che scegliere di fare di letteratura o filosofia un percorso lavorativo mi avrebbe tenuta troppo focalizzata su me stessa, “stretta” alle mie domande esistenziali. Avvertivo il bisogno di spostare il baricentro dei pensieri, di tirarlo fuori da me e di lasciarlo vagare, a occuparsi di dimensioni lontane che mi avrebbero rassicurata. Io, un puntino, un istante, in questo universo indifferente che avrei provato a capire… Dovendo allora scegliere il percorso universitario, ho deciso di dedicarmi allo studio di quella che mi pareva la disciplina più impegnativa e stimolante, la fisica, e così mi sono trasferita a Roma. E oggi posso confermare che è stato proprio questa scelta, compiuta anni fa, a definire in gran misura la persona che sono oggi, innescando una trasformazione radicale del mio approccio alla vita, e offrendomi la consapevolezza che l’“impossibile” dipende dai punti di vista. Mi sono laureata con una tesi in astrofisica all’Università La Sapienza; ho lavorato successivamente su esperimenti di cosmologia per la misura della radiazione di fondo cosmico, la firma del Big Bang. Mi sono poi iscritta ad Economia e ho vinto un Dottorato di ricerca a Roma, dove ho lavorato su una tesi centrata sugli strumenti economici di politica ambientale, che mi ha portata a passare quasi un anno in Inghilterra. Non ho poi concluso il mio dottorato perché, due mesi prima la finalizzazione della tesi, ho ottenuto un posto a Parigi presso l’Agenzia Spaziale Europea.

Quali esperienze lavorative post laurea l’hanno più influenzata nel diventare la persona che è oggi e perché?

Durante gli studi di dottorato, per assicurarmi una minima indipendenza economica, ho cominciato a scrivere per alcuni quotidiani, lavorando poi per una agenzia di giornalismo scientifico a Roma. L’esperienza di quegli anni è stata magnifica, non solo perché riuscivo per la prima volta a mettere insieme l’amore per la scrittura con il desiderio di parlare di scienza, ma soprattutto perché eravamo un gruppo di giovani ragazzi con formazioni molto diverse – filosofia, antropologia, medicina, etc… Il piacere dello scambio, la capacità di “contaminarci” con passioni reciproche, e l’ opportunità di imparare cose nuove erano un privilegio straordinario. È come se questo periodo avesse aggiunto nuove dimensioni al mio sguardo sulle cose, confermando che quando si mette in comune ciò che si è e si sa, si diventa più forti

Quando è arrivata all’ESA, con quale ruolo e soprattutto con quali aspettative e speranze?

Come per molti ragazzi che hanno studiato astrofisica, anche per me l’ESA era “the place to be” in quanto luogo di eccellenza tecnica e di missioni scientifiche e di esplorazione del sistema solare straordinarie. Posso dire che le mie aspettative sono state decisamente superate dall’esperienza. Lavoro in un’organizzazione internazionale, dove la sinergia di talenti europei permette di realizzare cose che sembrano impossibili, come atterrare su una cometa a 500 milioni di km da qui, o fotografare l’inizio dell’universo. È la magia di una Europa che funziona, dove la diversità di competenze e di culture diverse, di genere, di abilità di visioni del mondo permettono di raggiungere obiettivi preclusi alle singole nazioni, creando quell’alchimia che fa la differenza.

Come ha visto trasformarsi l’azienda negli ultimi 4-5 anni?

Se gli investimenti nello spazio hanno sempre avuto motivazioni strategiche e scientifiche, lo spazio è ormai anche una infrastruttura imprescindibile per la società e con un enorme potenziale di impatto economico. Basti pensare alle ricadute in termini di servizi di programmi europei quali Galileo, molto più preciso del Gps, o del programma di osservazione della terra, Copernicus, che ci sta permettendo di mettere insieme la più grande base di dati sulla Terra e riscaldamento climatico. Anche l’organizzazione è cambiata negli ultimi anni con la nomina nel 2015 di Jan Woerner nel ruolo di Direttore Generale. È lui che ha dato al tema della Diversità e dell’Inclusione un posto prominente, anche creando il ruolo che occupo ora, quello di Chief Diversity Officer. Grazie a questa iniziativa, l’ESA si propone di arricchire il proprio patrimonio di diversità, garantendo al tempo stesso che i valori e gli obiettivi perseguiti diventino un attributo intrinseco e autentico di tutte le politiche dell’Agenzia e dei suoi obiettivi. La diversità rappresenta una delle condizioni chiave per promuovere innovazione e preparare il futuro, e l’ESA ha bisogno della molteplicità di punti vista e di competenze per continuare a innovare e ispirare con le sue missioni i cittadini europei e le giovani generazioni.

Quale dote si riconosce maggiormente e quale difetto su cui migliorare?

Sono molto determinata, mi piacciono le sfide, e non mi scoraggio facilmente. Ma sono anche molto impaziente. L’arte di saper attendere non mi appartiene, ma ci sto lavorando..:)

In che modo vorrebbe portare un cambiamento, quali sono i nodi da sciogliere oggi, e quali sono i punti di esplosione (positiva) per il futuro più prossimo?

Sono convinta che solo una presenza più forte di donne nelle discipline tecnico-scientifiche possa mettere in moto una rivoluzione, profonda, pervasiva e sostenibile nel tempo. Passa da qui infatti la strada per sovvertire l’equilibrio delle cose come sono sempre state, per operare una trasformazione irreversibile, e occupare definitivamente quegli spazi in cui si immagina e costruisce il futuro. Una delle sfide più importanti oggi è quella di incoraggiare le ragazze a perseguire studi nelle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) e di suscitare il loro interesse verso i mestieri legati all’avventura spaziale, facendo leva sullo speciale potere di ispirazione della scienza e dello spazio. Pur rappresentando ormai più della metà dei laureati, infatti, le ragazze che conseguono una laurea in materie STEM non sono che il 39% nei Paesi OCSE. E questa percentuale, di per sé già poco soddisfacente, crolla ancora ad appena un quinto se si considerano i soli corsi di studio in tecnologie dell’informatica e della comunicazione. Di conseguenza, non stupisce che il gender gap nelle professioni tecniche e scientifiche rimanga ampio e difficile da colmare. Come si può chiaramente immaginare, anche in un’organizzazione a vocazione scientifica e tecnologica come l’ESA la parità di genere è ancora lontana, ed è per tale ragione che stiamo dedicando un’attenzione particolare a far sì che le carriere nel settore spaziale risultino in grado di convincere più donne a presentare la loro candidatura e, ancor prima, di interessare più ragazze a studiare materie STEM.

Inclusione delle diversità: sorvolando su frasi fatte e spot, perché ha senso, nel 2019, – per il business di una multinazionale – utilizzare l’inclusione come driver di innovazione?

Giustamente, andando aldilà delle sole considerazioni etiche e morali, è stato ormai dimostrato che diversità e inclusione costituiscono due elementi chiave per il successo di una organizzazione. La molteplicità di esperienze, di punti di vista, di background è infatti cruciale per promuovere innovazione e per incoraggiare lo sviluppo di nuove idee. Mettere insieme più voci e prospettive permette senza dubbio di ideare nuovi prodotti e servizi e di stimolare quella capacità di “thinking out of the box” che risulta necessaria per competere ed essere innovativi e all’avanguardia su scala globale. L’analisi empirica mostra che esiste chiaramente una relazione positiva tra diversity e innovazione. Con il nostro lavoro in ESA, ogni giorno tali risultati sono messi alla prova e confermati: è solo infatti grazie al contributo del tesoro di talenti europei che si realizzano obiettivi straordinari, impossibili da raggiungere altrimenti con il solo sforzo di singole nazioni.

Come immagina se stessa tra 5 anni? Come immagina ESA tra 5 anni?

Il mio obiettivo primario in qualità di ESA Chief Diversity Officer è assicurare che le azioni e le iniziative intraprese per promuovere diversità e inclusione portino risultati sostenibili nel tempo, in un percorso lungo il quale non si possa tornare indietro – conducendo quindi a un cambiamento vero, sostanziale e integrato nel tessuto dell’Agenzia. In questo senso, è chiaro che per raggiungere risultati durevoli siano necessari tempo, fiducia, e dedizione attiva e costante. Sono convinta che sia possibile rendere l’ESA un’organizzazione moderna, senza barriere – visibili e invisibili – e in grado di affrontare le sfide del futuro facendo leva su una molteplicità di talenti: un’Agenzia in cui non ci sia più bisogno di un Chief Diversity Officer. Si tratta di un obiettivo a lungo termine, è vero, e che richiederà forse più di cinque anni. Benché lentamente, a piccoli passi, tuttavia, la situazione inizia a evolvere e questo non può che rendermi fiduciosa nel futuro e convinta del valore del nostro impegno. Perché, come dice il poeta Rilke “Il futuro è in noi prima ancora che accada”.

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