Dieci Domande a ALESSANDRA SINIBALDI - Market Access Director at Janssen D&I Champion Johnson & Johnson Italy

30 Giu 2020

A cura della Redazione

Che bambina era? Che tipo di educazione ha ricevuto? Quando e come è maturata la scelta di intraprendere un percorso di studi in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche?

Ero quella che si può definire una bambina seria, figlia di genitori insegnanti e con tre sorelle maggiori, cresciuta in una famiglia tradizionale (che portava in sé una distribuzione non del tutto paritaria dei ruoli di genere) che mi ha trasmesso un enorme senso del dovere, rispetto per l’Istituzione scolastica (pubblica) e ha lasciato poco spazio alle “smancerie”. La passione per la chimica non è stata precoce, inizialmente il mio impegno era egualmente distribuito tra tutte le materie di studio; poi al termine della scuola superiore si è delineato in modo più chiaro l’attrazione per il mondo della salute che si è concretizzato nello studio di una disciplina specifica, al tempo non considerata “da femmina”. Forse c’è stata anche un po’ di voglia di smentire questa credenza.

Ha avuto esperienze di studio e lavoro all’estero? Se sì, in che modo l’hanno influenzata?

A seguito della laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche (ottenuta con un po’ di ansia da prestazione e grande orientamento al risultato) non ho avuto esperienze di lavoro o di vita all’estero (e questo è un piccolo rammarico) perché Janssen ha incrociato subito la mia strada. Avevo inviato il mio cv all’azienda tramite Il Sole 24 Ore e sono subito stata convocata per un colloquio. Era il 1996, all’inizio del ’97 ho iniziato a lavorare con Janssen.

Quando è arrivata in Janssen? Con quale ruolo e soprattutto con quali aspettative e speranze?

Il mio ruolo iniziale in Janssen è stato, fin da subito, presso il sito produttivo di Latina (che negli anni si è andato via via espandendo ed oggi conta 650 persone) e richiedeva competenze tecniche di gestione, chimico farmaceutiche e di quality assurance. Quindi mi muovevo in un territorio piuttosto conosciuto. Alla fine del 1998 mi è stato proposto un cambiamento (anche di sede) e ho cominciato ad occuparmi di affari regolatori e accesso al mercato. Questo ha significato per me sviluppare competenze nuove e diverse che coniugassero skills tecnico-scientifiche con capacità manageriali. Entravo in una zona di “non comfort” ma la curiosità è sempre stata una buona compagna per me, quindi mi sono sentita stimolata dal trasferimento a Milano e dalle possibilità di espandere le mie competenze negli affari regolatori, e successivamente nel market access, fino ad arrivare all’attuale ruolo di Regulatory Affairs & HEMAR Director (Health Economics, Market Access and Reimbursement, ndr).

Come ha visto trasformarsi l’azienda negli ultimi 5 anni?

La compagnia farmaceutica Janssen è cresciuta moltissimo puntando su prodotti sempre più specialistici e, ad oggi, è responsabile del 54% del fatturato del Gruppo Johnson & Johnson. Questo anche grazie al settore produttivo che non è mai stato trasferito all’estero e, ora, con più del 90% dell’export, rappresenta un fiore all’occhiello del settore. Aggiungo che le persone che lavorano nel sito produttivo di Latina sono raddoppiate rispetto a cinque anni fa, giusto per sfatare il mito che l’innovazione tecnologica sottrae lavoro produttivo alle persone.

Quando e come si è aggiunto alle sue responsabilità il ruolo di coordinatrice del gruppo Diversity & Inclusion di J&J in Italia?

Circa un anno fa il Direttore HR di tutta Johnson&Johnson in Italia mi ha proposto questo ruolo ed ho accettato con entusiasmo, perché l’importanza che l’azienda stava dando alla D&I non era solo simbolica. Abbiamo creato un Council che raccoglie persone con le funzioni più disparate e diverse, rappresentando così tutte e tutti, anche dal punto di vista generazionale. È un luogo di scambio fondamentale.

Perché nel 2020 l’inclusione è finalmente diventata un driver per il business e per l’innovazione?

La nostra azienda lo sa da molto tempo, come dimostra anche il fatto che siamo tra i soci fondatori di Valore D e il Gruppo Johnson & Johnson fu tra le aziende fondatrici di Parks. Ormai, sono tantissimi gli studi e le esperienze che dimostrano sia quanto il diversity management sia un driver di business fondamentale, sia come le aziende che investono in queste tematiche siano anche le più performanti sul mercato. Del resto è – anche – un tema di attenzione al cliente: apprezzare l’unicità di ciascuno/a permette di avvicinarsi al singolo.

Su quali tematiche si è concentrato principalmente il team finora e con quali scopi?

Innanzitutto trovare il giusto modo di calare nella realtà italiana il mandato globale. Per questo abbiamo realizzato che le tematiche di diversità che più hanno rilievo in questo periodo storico nel nostro Paese sono 5: il genere, l’orientamento sessuale, le generazioni, la disabilità e la diversità in termini di background culturale. Abbiamo la fortuna di lavorare in un’azienda che ha scelto di utilizzare il welfare come uno strumento flessibile, per delineare un approccio ad personam per i/le dipendenti, che comprendesse e supportasse tutte le diversità, valorizzandole (ad esempio il Parental Project). Nelle nostre attività con il gruppo D&I portiamo avanti numerosi progetti ed iniziative, collaborando costantemente con Employee Resource Group (ERG) nati spontaneamente da iniziative di dipendenti J&J, quali ad esempio WLI (Women Leadership Initiative) ed Open&Out.

Qual è il progetto D&I di cui è più orgogliosa ad oggi?

Dovendo sceglierne uno mi piace citare la decisione, presa quest’anno dal leadership team di ogni settore aziendale, di inserire un obiettivo di valutazione specifico sulla D&I, per ogni persona. Questo significa che nel nostro processo standard di valutazione (che si compone della valutazione del proprio superiore, valutazione tra pari e auto valutazione) c’è anche la Diversity&Inclusion. Inoltre, un nuovo nato, specificamente nel m o n d o Janssen, è il progetto “Fattore J”, un progetto educativo per le scuole superiori che si dà come obiettivo lo sviluppo dell’intelligenza emotiva nei ragazzi e di un atteggiamento inclusivo nei confronti della malattia (e dei malati). È importantissimo che i giovani crescano senza lo stigma che accompagna la depressione o le malattie immunologiche che, invece, è ancora molto forte. Ne abbiamo già formati 1000 attraverso webinar e interventi da remoto, in collaborazione con otto Associazioni Pazienti, e il tema più fortemente emerso da questi incontri (per ora virtuali) è quello della fiducia. Perché un fattore positivo emerso dall’emergenza Covid-19 è la rivalutazione delle competenze scientifiche per la tutela della salute pubblica. È stato importante che chi ci governa abbia chiesto e seguito i pareri della Scienza.

Janssen concentra la propria attività in sei aree terapeutiche: neuroscienze, infettivologia, onco-ematologia, immunologia, ipertensione polmonare, malattie cardiovascolari e metaboliche. Negli ultimi mesi molte di queste sono state aree al centro dell’attenzione nella nostra quotidianità, privata e collettiva. Qual è stato l’impegno e il ruolo di J&J durante l’emergenza Covid19?

Non ci siamo mai fermati, nemmeno la produzione ha subito chiusure, ma ci siamo subito riorganizzati per garantire la sicurezza per tutti/e. Lo smart working era uno strumento già a regime per la nostra azienda al punto che lo abbiamo esteso a tutti coloro per cui era possibile prima ancora che lo richiedessero i vari Dpcm emanati. Non è stato semplice, parliamo di 1260 dipendenti di cui 650 in produzione (e il 54% del totale sono donne). Inoltre abbiamo lanciato un progetto di Home Delivery per garantire la distribuzione di alcuni farmaci al proprio domicilio alle persone più fragili, che ne hanno bisogno, per limitare i loro accessi in ospedale in questo periodo di emergenza, a tutela della loro sicurezza. E, naturalmente, abbiamo sostenuto economicamente il lavoro della Croce Rossa Italiana e donato dispositivi di sicurezza laddove ce n’era carenza. Infine, importantissimo, siamo in corsa per trovare un vaccino per il Covid -19.

Come immagina Janssen tra cinque anni? Quali obiettivi vorrebbe raggiungere?

Abbiamo innanzitutto l’obiettivo di inserire un/una Disability manager per ogni sito, e direi che siamo già a buon punto. Immagino poi in continua ed esponenziale crescita la nostra attività di ricerca che rimane indispensabile.
E infine, dalla trasformazione che il Covid 19 ha imposto alle nostre vite, vedo emergere anche un cambiamento – già iniziato in Janssen – che porterà la nostra impresa ad essere sempre meno “un’azienda di prodotto” e sempre più un’azienda che offre servizi e soluzioni destinate ai nostri pazienti, sempre con una grande attenzione alla loro unicità.

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