Confiniteatro

COSMONAUTI DI PROSSIMITÀ

A cura di Anna Toffaloni
21 Dic 2023

Il 12 febbraio 2023, a Madrid, circa 250.000 persone sono scese in strada per manifestare contro la crescente privatizzazione del settore sanitario spagnolo. Nei mesi seguenti le proteste sono continuate e nella seconda metà di aprile, in tutta la regione, è stata organizzata una consulta cittadina per appoggiare la richiesta al governo comunitario di finanziamenti adeguati che potessero coprire le risorse e il personale carenti nella sanità pubblica. È in questo contesto che nasce Cosmonautas de proximidad, una performance teatrale di strada realizzata a Tres Cantos il 16 aprile, con l’obiettivo di appoggiare e promuovere la consulta che sarebbe iniziata il giorno seguente. Ho avuto il piacere di intervistare Ana Gonhar Sánchez, una delle attrici (e non solo), che fra le altre cose mi ha raccontato la genesi e l’evoluzione di questo progetto. 

Com’è nato Cosmonautas de proximidad

L’idea che sta alla base della performance è venuta da Jorge (Jorge Amich, coordinatore dell’Aula di Teatro della UAM, Università Autonoma di Madrid). Oggi pensiamo continuamente a una vita al di là della Terra, in altri mondi impossibili: dato che stiamo perdendo il pianeta, dobbiamo pensare a dove andare a vivere perché la specie umana continui. Perché invece di dare per scontato che la Terra è perduta, perché invece di essere cosmonauti dello spazio “esterno”, non diventiamo cosmonauti dello spazio interno? Cosmonauti di prossimità, di vicinanza, dei quartieri, dei paesi, gente della strada. Il filo narrativo principale, quindi, parlava di queste cosmonaute che arrivano sulla Terra: sui loro pianeti la sanità è privata, e sono assicurate, ma scoprono che anche sulla Terra la sanità è privata e le loro assicurazioni non coprono le situazioni in cui vengono a trovarsi. Abbiamo scelto di concentrarci su tre aspetti: la pediatria, la salute mentale e l’assistenza di urgenza, e a partire da qui abbiamo creato dei personaggi. Quindi c’è una madre-cosmonauta con un bebè che dirige la spedizione: con lei volevamo anche rappresentare la difficoltà ancora presente per una donna nel conciliare un posto di leadership e una maternità. Il secondo personaggio era una spazzina, esaurita per il lavoro, e faceva riferimento alla categoria delle persone addette alle pulizie, lavoratrici precarie e spesso sfruttate, sottoposte a un carico mentale non indifferente. Il terzo personaggio è una persona che ha un incidente in strada e deve chiamare un’ambulanza. Abbiamo rappresentato queste tre aree cercando di evidenziare la precedenza dell’aspetto economico su quello sanitario, di mostrare al pubblico quello che potrebbe essere un vero problema del nostro futuro.

Com’era costituito il gruppo? Come avete lavorato? 

Il gruppo era molto eterogeneo per formazione, persone che erano state nell’Aula di Teatro della UAM ma con diverse esperienze, teatrali e non. Io ho seguito un corso di teatro fisico biennale nella scuola di Mar Navarro, e ho ripreso a collaborare con Jorge dopo che ho finito l’università. In totale eravamo cinque ragazze, direi cinque amiche: Aurora, Martina, María, Laura e io. Realizzare questo progetto insieme a loro per me è stato un regalo. Il testo l’abbiamo scritto Jorge e io, alternando idee e improvvisazioni, e così è andato definendosi. È stato un po’ come un parto: non esce, non esce, non esce… Alla fine è uscito, e ci siamo dette: sembrava che non sarebbe uscito mai, che fatica. All’inizio avevamo scritto qualcosa come quindici pagine, poi si sono ridotte alla metà: la performance dev’essere durata venti minuti, non di più. Del processo di montaggio invece mi sono occupata io. Facevamo molto questo tipo di lavoro di creazione basata sul gruppo nella mia scuola di teatro. Abbiamo lavorato in un finesettimana intensivo, il venerdì e il sabato, e la domenica c’è stata la performance.

E adesso? 

Dopo la performance ci siamo rese conto che questo progetto, in cui avevamo investito tanto tempo, a cui ci eravamo dedicate tanto, si era già spento, come una candela: soffi ed è andato. Per questo adesso io e Jorge stiamo cercando di riaccenderla. In quel momento ci sono state una serie di coincidenze per cui non siamo riuscite a fare repliche: io ero impegnata con l’università, altre con il lavoro, le manifestazioni sono andate sgonfiandosi, non c’era più il contesto per continuare con una cosa del genere. Però ci sono, sono lì, quei personaggi che abbiamo costruito e tutto il materiale, e questa volta l’obiettivo è arrivare a fare qualcosa che si possa riprodurre, e che abbia quel senso che ci attraversa. Anche questo nuovo progetto nasce da un’idea di Jorge, che definisce il pianeta “pianeta Guerra”. Due settimane fa, quasi tre, è esplosa la situazione in Palestina e ci siamo dette: il mondo è in guerra. Parliamo di diritti umani, sì, ma la realtà qual è? I diritti umani non si rispettano dappertutto, non sono niente di reale, la nostra (europea) è una minoranza iperprotetta. Quindi il punto sarà mostrare i cosmonauti come emigranti che arrivano sulla Terra e si rendono conto che l’umanità ha appeso il cartello dei diritti umani, ma non è che si impegni granché a rispettarli. L’idea di parlare di diritti umani, un campo che raccoglie una grande varietà di temi, viene anche un po’ dal fatto che ogni persona si sente più coinvolta in una lotta piuttosto che in un’altra. Noi umani abbiamo molte dimensioni, ci sono molti fronti aperti. Per questo è importante attraversare le realtà, mostrare realtà diverse. 

Un’ultima domanda. Come vedi il teatro? 

L’idea è che quando non hai grandi risorse puoi fare teatro con molto poco, l’idea è un po’ questa: meterte en el barro, infangarti. Il teatro non sono fioriture, il teatro è il corpo, provare, fare pratica, il teatro un po’ è la vita, è umano. È anche un atto di generosità: io ti offro quello che ho perché tu possa entrare in questo mondo che ti sto mostrando. Per quanto riguarda i temi di interesse sociale, il teatro sicuramente è un altoparlante, una maniera di veicolare un messaggio: si vedono rappresentate possibili vite, possibili mondi, esagerazioni di realtà nemmeno così lontane da quella che potrebbe essere la nostra un giorno. E allora uno pensa che forse bisogna prendersi cura della sanità pubblica, a meno che non pensiamo di andarcene su Marte. Ovviamente il cambiamento passa attraverso il raggrupparsi, l’unirsi, ma io credo che il teatro sia un modo per muovere, per arrivare alla gente, un modo di riflettere, capire, pensare o di far pensare questioni che magari non ci si è mai posti, un modo per comunicare informazione. Se ci pensi il teatro è infinito. Si possono creare mille cose e raccontare la stessa cosa in mille modi diversi, i temi sono sempre i soliti, è umano: l’amore, la morte… non è importante, si prende quel che c’è e si ricrea. Mi sembra un’arma molto potente.

Leggi questo numero
Registrazione Tribunale di Bergamo n° 04 del 09 Aprile 2018, sede legale via XXIV maggio 8, 24128 BG, P.IVA 03930140169. Impaginazione e stampa a cura di Sestante Editore Srl. Copyright: tutto il materiale sottoscritto dalla redazione e dai nostri collaboratori è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione/Non commerciale/Condividi allo stesso modo 3.0/. Può essere riprodotto a patto di citare DIVERCITY magazine, di condividerlo con la stessa licenza e di non usarlo per fini commerciali.
magnifiercrosschevron-down