COOPERAZIONE NELLE CITTÀ - Una rigenerazione urbana sostenibile
Marco Buemi
La promozione dello sviluppo sostenibile passa necessariamente attraverso le città, luoghi in cui vivono oltre i due terzi dei cittadini europei e nei quali si affrontano le principali sfide del nostro tempo, dall’inclusione all’innovazione in campo sociale, ambientale ed economico. Alla luce di ciò, non sorprende l’attenzione sempre più forte dell’Unione Europea nei confronti dei programmi di cooperazione urbana che favoriscono la collaborazione tra le città per dare soluzione a problemi e sfide comuni. I programmi di finanziamento europei, per la rigenerazione e lo sviluppo sostenibile urbano, sono UIA (Urban Innovative Action) e URBACT. Il programma UIA, per il periodo 2014-2020 ha stanziato risorse, per le città di almeno 50.000 abitanti, pari a 371 milioni di euro ripartite tra diversi inviti a presentare proposte progettuali. Il programma URBACT, invece, di cui faccio parte come Lead Expert, per il periodo 2014-2020 ha stanziato risorse pari a 96,3 milioni di euro. URBACT, per ogni progetto ha un partenariato costituito da un minimo di 7 a un massimo di 9 città europee e vede coinvolte molte città italiane che, attraverso il confronto strutturato con stakeholder locali e internazionali, affrontano temi quali il riuso di aree e strutture dismesse nei centri urbani, l’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo o la promozione del piccolo commercio nei centri storici, solo per citarne alcuni. Si delinea così un modello di governance innovativo capace di rivoluzionare il modo in cui i comuni amministrano il territorio, facendo della partecipazione civica e della collaborazione con altri contesti europei un elemento centrale dell’azione di governo locale. Per il periodo 2021-2027 la Commissione Europea ha riconosciuto il ruolo strategico giocato dalle città e ha deciso di potenziare la dimensione urbana, nell’ottica di rafforzare la politica di coesione, con un obiettivo specifico dedicato allo sviluppo urbano. L’obiettivo numero cinque, “Un’Europa più vicina ai cittadini” sarà, quindi, dedicato alla promozione dello sviluppo sostenibile e integrato delle zone urbane, rurali e costiere e delle iniziative locali con un approccio integrato e multisettoriale.
Dalle strategie per la resilienza urbana di Bilbao al programma di coinvolgimento dei cittadini nell’individuazione di edifici dismessi per l’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo ad Amburgo, sono tantissime le soluzioni innovative sviluppate dalle città europee che possono rappresentare elemento di ispirazione per le città italiane che si preparano a riusare e riadattare progetti ed esperienze di successo. Tante anche le esperienze italiane che potranno costituire un modello a cui ispirarsi per altre realtà urbane europee, come InnovaTo, la competizione tra dipendenti comunali di Torino per migliorare i servizi erogati dal comune, oppure la Food Policy di Milano o gli usi civici dei beni comuni di Napoli.
Non solo grandi città, ma anche centri di piccole e medie dimensioni sono protagoniste di azioni che per l’impatto che hanno avuto sui territori contribuiranno ad orientare sempre di più il dibattito urbano europeo nei prossimi anni: il festival COME IN! che racconta il patrimonio architettonico e culturale della città di Forlì attraverso il coinvolgimento dei cittadini che abitano e vivono questi luoghi, a volte senza conoscerli; la promozione del gioco come elemento di inclusione sociale a Udine e Macerata; il progetto CAPACITyES, finanziato dal programma UIA, dove la città di Bergamo affronta il tema della povertà urbana, considerando nello specifico la carenza di offerta abitativa, la povertà educativa dei bambini e le segregazioni spaziali. Tutti questi progetti rappresentano un esempio della vivacità delle città italiane e del potere delle buone pratiche per orientare in maniera lungimirante lo sviluppo condiviso dei contesti urbani.
Negli ultimi dieci anni, infatti, in queste realtà urbane il dibattito sociale e politico è stato caratterizzato da un sempre maggiore coinvolgimento dei cittadini nella gestione dei beni comuni o, secondo la terminologia adottata in letteratura e a livello internazionale, dei commons. Sia in Italia che all’estero, infatti, un nuovo movimento di attivisti sta rinnovando le nostre società dal basso, ogni giorno, attraverso la cultura della “partecipazione” e del “fare”.
Dalla rivendicazione di spazi ed edifici pubblici abbandonati o inutilizzati alla richiesta di alloggi dignitosi, dalla manutenzione di giardini pubblici e di strade, alla rimozione di graffiti dai monumenti, il dibattito sugli spazi cittadini è diventato il fulcro di diversi movimenti sociali che trovano ispirazione in uno spirito di profonda critica del sistema produttivo e sociale attuale, orientato alla tutela degli interessi di gruppi di potere e indifferente alle esigenze degli strati della società più vulnerabili. Per far fronte a questa situazione questi cittadini e questi gruppi civici hanno deciso di organizzarsi e di cominciare a mettere in atto dei progetti autonomi, nuovi nella metodologia, che guardano oltre l’autorità statale, verso forme di resistenza locale volte a riacquisire il controllo diretto sugli spazi di pubblica utilità.
Tale approccio ai problemi locali si basa su tre principi fondamentali: la sussidiarietà orizzontale, la collaborazione ed il policentrismo. Questi tre principi, insieme, inducono le autorità statali a modificare la loro statica posizione di monopolio nella gestione dei beni comuni e, allo stesso, tempo, favoriscono una presa di coscienza dei singoli attori coinvolti di essere co-autori e co-partner di beni condivisi.
In Italia gli esempi che si possono citare sono molteplici: dalla riqualificazione del “Cantiere Barca” a Torino, alla ristrutturazione di cinema in disuso a Roma, dai co-working in varie città, all’esperienza di social street lanciata dai residenti di via Fondazza a Bologna. Tuttavia la vera svolta è rappresentata dall’esperienza bolognese. Non a caso la città di Bologna, sede della prima università europea e da sempre caratterizzata da un vivo fermento politico e sociale, è stata una delle prime a studiare questi fenomeni e a tradurli in un regolamento denominato Il Regolamento sulla Collaborazione tra Cittadini e Amministrazione per la Cura e la Rigenerazione dei Beni Comuni Urbani, che ha rappresentato a livello sia italiano sia europeo un vero e proprio punto di svolta ed è stato seguito con progetti simili in altre 60 città. Le novità introdotte sono molteplici. Innanzitutto una definizione chiara di cittadinanza attiva e di bene comune (o “Commons” in gergo internazionale); in secondo luogo ufficializza la volontà di superare la concezione dello stato come monopolista nella proprietà e nella gestione dei beni comuni e regola un approccio partecipativo alla governance, riconoscendo la possibilità di instaurare un modello di gestione policentrico e più democratico.