CONVERSANDO CON MONICA ROMANO
Consigliera neoeletta del Comune di Milano, Vicepresidente della Commissione Pari Opportunità
Tutta la bellezza di chi non teme le traversate in solitaria: mi restituisce questa immagine la conversazione con Monica J. Romano, prima donna transgender eletta Consigliera Comunale alle recenti elezioni amministrative di Milano, poi, nominata Vicepresidente della Commissione Pari Opportunità. Dietro a ogni suo passo, compresa la strategia che l’ha portata al successo elettorale, c’è la bellezza della non omologazione e dell’autonomia di pensiero come atto di volontà consapevole e ragionato, sposato fino in fondo anche nella scelta di rivolgersi ai suoi concittadini puntando interamente su una propria idea di città e su competenze professionali e accademiche di alto livello, maturate in 15 anni nella gestione delle Risorse Umane: un lavoro impegnativo che, tuttavia, dopo la laurea in Scienze Politiche e un Master in Diversity Management presso la Fondazione Giacomo Brodolini a Roma, non le ha impedito di dedicarsi all’impegno civile e alla scrittura. La sua storia ha la bellezza del coraggio di sfidare bias cognitivi e immaginario collettivo legati a transgenerità e non conformità di genere, senza, tuttavia, usare la propria appartenenza ad una ‘minoranza’ a scopo politico; le 938 preferenze testimoniano un successo conquistato facendo leva sui contenuti: gli stessi a cui quasi mille milanesi hanno dato fiducia. Monica, la tua campagna elettorale si è svolta interamente al di fuori della comunità LGBT+ milanese, dove da oltre vent’anni ti dedichi ad attività di volontariato sociale e dove avresti potuto ‘giocare in casa’…
Ho lasciato la ‘bolla’ per avventurarmi nei mercati, nelle fiere, nei quartieri popolari che, secondo alcuni, una persona trans* dovrebbe evitare. Invece, sono stata accolta benissimo e ancora sono grata alle tante persone che mi hanno dedicato tempo, ascoltata e hanno messo in borsa il volantino con il numero che sarà attivo per tutto il mio mandato. Con i volontari che mi hanno sostenuta, abbiamo distribuito oltre 500 copie del mio programma elettorale completo! I temi di punta sono stati lavoro, parità di genere e inclusione, anche se con i milanesi il confronto è stato a 360°: sicurezza, inquinamento, viabilità, nuove disuguaglianze…
In tutta la campagna elettorale, non hai mai pronunciato la parola ‘transgender’, pur non vergognandoti affatto della tua storia. Perché?
L’anno scorso la comunità LGBT+ italiana ha riconosciuto il mio impegno di oltre 20 anni nella battaglia per i diritti civili con il premio speciale per la categoria ‘attivismo’, nell’ambito di ‘Star T. Trans Celebration Night’, evento organizzato dal Coordinamento Torino Pride in collaborazione con l’Università di Torino. Ho, inoltre, pubblicato tre libri sul tema della transgenerità in ottica sociale. Tuttavia, ho voluto dare spazio ad altro, nella convinzione che chi si candida ad amministrare una città debba dimostrare competenze adeguate a un eventuale mandato, nell’interesse della qualità di vita della collettività. Credo che i milanesi abbiano percepito la concretezza, la semplicità e la trasparenza del mio messaggio, come l’approccio senza filtri e lontano dai sensazionalismi attesi: un atteggiamento ereditato dal papà, fiero migrante siciliano, mentre dalla mamma ho ereditato l’amore per la cultura umanistica.
La schiacciante maggioranza dei tuoi elettori sono persone eterosessuali, in prevalenza donne, oltre a moltissimi giovani. Come lo motivi?
Con le prime ho trascorso molto tempo, affrontando temi quali femminicidio, patriarcato, femminismo, accesso alle materie STEM e misoginia. Credo abbiano colto la passione e l’autenticità delle mie intenzioni rispetto a queste grandi questioni: un dato ‘bellissimo’ alla luce di tante polemiche strumentali sollevate da una parte minoritaria del femminismo che vede in noi donne transgender una minaccia. Per raggiungere i giovani, invece, ho cercato di entrare nella loro dimensione, quella social, attraverso Instagram e Tik Tok.
Continua a essere radicato in molti il pregiudizio per cui una donna transgender non possa avere successo per i suoi soli meriti. Perché è così difficile accettarlo?
Credo sia conseguenza di una diffusa visione che ci vorrebbe tutte prive di istruzione, cultura e capacità. Sostenere: “È stata eletta perché è transgender” è una soluzione comoda, perché giustifica un dato di fatto, scaricando la colpa a mode e tendenze, ma fa torto alla verità dei fatti.
Molti si attendono che tu ti limiti a occuparti esclusivamente di diritti trans* o LGBT+. Hai messo in conto che rivolgerti a tutti i cittadini milanesi, senza distinzione, comporta l’inimicizia o l’ostilità della ‘base’?
Certo, significa andare incontro alle accuse di alto tradimento delle frange antagoniste dei movimenti, che reclamano a gran voce che io debba rendere conto alla ‘base’, ma io non rinuncerò ad andare oltre gli steccati nella pratica politica: ne vale la pena, perché tante sono le soddisfazioni che derivano dall’uscire dalla propria comfort zone.
Il ricordo più ‘bello’ della fatica elettorale?
Tra i ricordi più belli ci sono le domeniche con le signore sui sagrati delle Chiese: mi ha emozionata parlare di Fede con loro ed essere invitata a casa per un caffè. Poi ci sono anche le mamme che mi hanno presentato i figli, con cui ho parlato di genitorialità e scuola. Nell’accostamento fra persone e dimensioni, solo apparentemente lontane, c’è tutta la grande bellezza di cui abbiamo bisogno. Di cui anche Milano ha bisogno.
Silvia Camisasca
1976, dottoressa in fisica nucleare con dottorato in applicazioni fisiche ai beni culturali, giornalista professionista.