CONTRO SPAZI

17 Dic 2021

Rubrica infanzia

DIALOGHI INTERCULTURALI ED ESERCIZI DI PARTECIPAZIONE ATTORNO ALL’EDUCAZIONE DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE

La relazione con le famiglie costituisce un tema cruciale nell’ambito del sistema dei servizi educativi per l’infanzia e della scuola. Essa è criterio di quali- tà imprescindibile, come è evidenziato da molti documenti normativi e di indirizzo nazionali e internazionali e dalla letteratura scientifica, che ha ampiamente confermato la possibilità di educare bambini e bambine, nei servizi per l’infanzia e nella scuola, solo nell’ambito di relazioni di cura che sappiano coinvolgere attivamente anche le loro figure familiari.

In tale direzione, oggi educatori e insegnanti sono chiamati alla sfida di tralasciare approcci pedagogici propensi a istruire i genitori - trasmettendo consigli e fornendo ricette su come educare i loro figli - per scegliere, piuttosto, la coeducazione e l’alleanza educativa. In tale prospettiva, i professionisti dell’educazione scelgono non tanto di lavorare per le famiglie o sulle famiglie dei bambini e delle bambine di cui si occupano, quanto piuttosto con loro, ovvero insieme per un progetto democratico e aperto di educazione dell’infanzia. In tal senso, l’ascolto, la comprensione empatica, la ricerca curiosa e il riconoscimento della diversità attraverso linguaggi plurimi, la sospensione di giudizi, la costruzione di reti e la scelta di azioni congiunte divengono elementi prioritari. Investire sulla partecipazione delle famiglie nei servizi e nella scuola in una logica di partnership e coeducazione favorisce il benessere, l’ambientamento e la motivazione ad apprende- re dei bambini e delle bambine, ma previene anche situazioni di svantaggio sociale e di disuguaglianza culturale, promuove reti sociali e di vicinato, riduce livelli di fragilità e di stress e favorisce opportunità di conoscenza e crescita non solo per i bambini, ma anche per tutti gli adulti (familiari e professioni- sti dell’educazione) e per le istituzioni coinvolte. Ciò acquista senso, in particolare, anche per le molte famiglie con back- ground linguistici, culturali e religiosi diversi che oggi entrano nelle istituzioni educative e scolastiche italiane. Si tratta di famiglie spesso esposte a sfide complicate - quali l’apprendimento spesso intensivo della lingua italiana e la familiarizzazione con la novità di spazi, relazioni, tempi e pratiche di

vita quotidiana – nonché a potenziali svantaggi, correlati alla ricerca di nuove appartenenze (alla cultura di accoglienza e a quella di origine) e delle loro connessioni possibili.
Spesso, per tali famiglie, prendere e sentirsi parte della vita dei servizi per l’infanzia e della scuola frequentati dai figli e dalle figlie costituisce un’opportunità di partecipazione: crescere bambini nelle istituzioni educative italiane, incontrare in esse altri genitori, imparare la lingua italiana, confrontarsi con altre donne e altri uomini e costruire con essi legami con- sente di conoscere e ampliare reti sociali e inclusive.

Inoltre, l’esperienza di un servizio per l’infanzia o della scuola, per una famiglia migrante può incoraggiare la ricerca di stili educativi che consentono di misurarsi con l’esperienza educativa e scolastica dei figli in Italia senza snaturare la propria storia e perdere le proprie tradizioni. La ricerca antropologica sull’educazione ha chiarito la natura culturale dello sviluppo dell’infanzia e ha evidenziato come ciò che sia condiviso e auspicabile per la cultura di accoglienza possa essere interpretato come indesiderabile o bizzarro per la cultura di origine, e viceversa. Solo il confronto continuativo e sistematico può in tal senso creare conoscenza e comprensione dell’alterità.

Tuttavia, si tratta di un’esperienza non priva di insidie. Se, da un lato, per molti genitori di altra cultura si tratta di un’esperienza di apertura a nuove possibilità e – soprattutto per le donne - di uscita dall’isolamento, dall’altro lato ciò com- porta l’incontro di diverse culture educative e richiede com- plessi processi di mediazione tra le diverse rappresentazio- ni culturali (di bambino, di bambina, di donna, di uomo, di educazione, di scuola, di lavoro, di società...) che scadono, talora inconsapevolmente, nella mera richiesta di adesione alla cultura di accoglienza e, dunque, nell’imposizione della cultura valoriale ed educativa qui dominanti.

Ciò spegne il confronto in una logica oppositiva, tra vincitori e vinti, rendendo così l’inclusione un processo tacito di colonizzazione e di assoggettamento. Per scongiurare tale deriva, ai professionisti dell’educazione è richiesto di orchestrare competenze comunicative, relazionali e progettuali specifiche, accompagnate da sguardi curiosi e critici. Sembrano, queste, condizioni indispensabili per tenere aperti dialoghi interculturali capaci di dare voce alla storia di ciascuno e rendere visibile e ascoltabile la sua diversità che crea ricchezza. Purché la sola lingua di tale dialogo non sia quella italiana, il che - inversa- mente alla potenza trasformatrice e generativa dell’educazione renderebbe molti genitori, insieme alle loro bambine e ai loro bambini, invisibili e muti.

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