CONFINI IN CRISI
Non sono solo i confini geopolitici ad essere sotto attacco oggi. Non è forse evidente che anche i confini ontologici, quelli che de-finiscono la realtà sociale secondo categorie distinte, sono entrati in crisi? Alcuni esempi aiuteranno a chiarire a cosa mi riferisco.
Una volta che distinguiamo tra sesso biologico, identità di genere e ruolo di genere, e che riconosciamo che si può avere un’identità diversa dal sesso affiliato alla nascita, non è più chiaro chi sia uomo e chi donna, e quindi chi la società dovrebbe riconoscere come tale. Quale, tra il sesso biologico e l’identità di genere, dovrebbe prevalere nella loro definizione? C’è poi chi sceglie di non identificarsi né con l’uno né con l’altro, perché rifiutando il binarismo rinuncia a collocarsi dentro delle categorie prestabilite. La cosiddetta ‘teoria queer’ porta in sé la novità assoluta di superare i costrutti sociali della sfera sessuale e di genere, e di abbracciare la libertà di muoversi in uno spettro ampio. La distinzione degli orientamenti sessuali, ad esempio, rischia di essere inadeguata a rappresentare la realtà umana: perché devo definirmi omosessuale, eterosessuale o bisessuale, quando l’orientamento ci sembra quanto di più plastico i nostri corpi e le nostre menti possano sperimentare? Antonella Viola, infine, ci ricorda che nemmeno i sessi biologici esistono davvero: la realtà naturale è molto più complessa della riduzione a maschio e femmina, e assomiglia di più ad un movimento sinfonico che genera unicità sempre originali, dove sono presenti sia caratteri “femminili” sia “maschili”, per cui è vero affermare che siamo tutti sia uomini che donne, seppur in grado diverso. (Antonella Viola, 2022, Il sesso è (quasi) tutto, Universale Economia Feltrinelli).
Anche le nostre relazioni affettive non tollerano più gli spazi tradizionali: siamo amiche, amanti, fidanzate? Dove finisce una categoria e inizia l’altra? Perché dovremmo incasellare ogni relazione, per poi realizzare che questo gesto è insufficiente a restituirne la pienezza? Gli anarchici relazionali, ad esempio, concepiscono il rapporto con ciascuno dei loro affetti in modo singolare, rinunciando a aderire a forme precostituite. La stessa scelta di avere relazioni multiple o di prendere con serietà una relazione aperta non è altro che un atto di sfondamento delle norme sociali (che nel normare sempre confinano). Si sceglie cioè di darsi autonomamente le proprie leggi, quanto di più in linea con l’etica kantiana, che bisogna ricordare essere un’etica della libertà.
La “crisi dei confini” coinvolge anche l’istituzione della famiglia, perché è vero che famiglie sono anche le famiglie omogenitoriali, le famiglie adottive, e quelle queer fondate sullo ‘ius voluntatis’ (sulla scelta volontaria di unirsi) anziché sullo ‘ius sanguinis’ – “perché la volontà deve contare meno del sangue?”, si chiede Michela Murgia.
Ci siamo poi abituati a frequentare spazi virtuali, ma non ci è chiaro se facciano parte della geografia in cui davvero esistiamo. Floridi sottolinea che nelle nostre società non sia più ragionevole chiedersi se si è online o offline, perché “non hai idea dove ti trovi. Siamo in entrambi”. (Luciano Floridi - TheWebConference 2018, Lione, Francia). Sta scomparendo il confine tra pubblico e privato: anche i nostri momenti di intimità e i nostri corpi nudi sono esposti allo sguardo esterno. E la sfera economica sembra assimilare quella politica e sociale, sicché ogni cosa pare ormai mercificabile, persino le lotte per i diritti. Nancy Fraser parla del capitalismo come un soggetto “cannibale”, che è uscito appunto dai suoi ranghi e divora tutto quello che trova attorno. (Nancy Fraser (2022), Cannibal Capitalism, Verso, London/NY).
Potremmo proseguire in questa disamina, il punto è cosa trarre da queste considerazioni. In primo luogo, la “crisi dei confini” ci aiuta a rappresentare meglio il ritorno di istanze conservatrici forti. La libertà di navigare in un mondo senza punti fermi può spaventare e generare crisi d’identità, per cui alla spinta decostruente si contrappone il bisogno di rialzare i muri, cioè di difendere lo status quo. Il rischio, altrimenti, è di de-lirare, che significa letteralmente ‘uscire dalla lira’ (il solco, il confine). Tuttavia, il progresso di una società si è sempre misurato dalla sua intolleranza alla configurazione sociale costituita, e se un cambiamento sembra poter generare più libertà e diritti, quindi più felicità, non abbiamo ragioni prima facie per contrastarlo – semmai per guidarlo. Ciò che ancora non è chiaro è se vogliamo spostare i confini un po’ più in là, renderli meno rigidi o dissolverli completamente. Parafrasando Antonio Gramsci: il vecchio sta morendo, ma il nuovo deve ancora apparire. In mezzo ci potrebbe essere l’ennesima guerra di confini.