Scienze e tecnologie

COME SIAMO ARRIVATI ALLA MUSICA LIQUIDA?

SONORITÀ DIVERGENTI
A cura di Elio Biffi
23 Nov 2023

Questo non vuole essere un saggio o un’esposizione esaustiva di un tema enorme. Non approfondirò il perché o le implicazioni tecniche e morali della questione, ma solo esempi concreti e dati, a volo d’uccello, per toccare il tema ormai attualissimo della smaterializzazione tecnica della musica.

È diventata liquida, perché virtuale e digitale, raggiungibile ovunque e in ogni momento, ma come? Partiamo dal 2001. Napster è un software di file sharing peer to peer di discreta diffusione, il primo a proporre ai suoi utenti la possibilità dello scambio di file audio a grande distanza e a una buona velocità. Alcuni dei suoi utenti mettono le mani su un importante singolo dei Metallica (“I Disappear”), ancora inedito e cominciano a diffonderlo tra loro e nel mondo.

La band lo scopre e grazie a questo realizza che attraverso Napster è disponibile la loro intera discografia, per chiunque, a costo zero.

I loro management e le case discografiche alzano le antenne e si rendono conto che questo mezzo avrebbe potuto distruggere in un attimo tutta la filiera della distribuzione discografica tradizionale. Intentano una causa milionaria, che Napster non riesce a reggere né legalmente né tantomeno economicamente. Entro un anno chiude il servizio di file sharing. Da quel momento in poi, nel mondo, la condivisione di musica protetta da copyright attraverso i servizi digitali, inizia ad essere regolata e normata. Anche la “pirateria” comincia a doversi muovere all’ombra delle pieghe del web.

Nel frattempo, però, la condivisione e lo scambio di file audio musicali diventa più rapido e accessibile a tutti.

Emblematico è il lancio del disco “In Rainbows” dei Radiohead.

Siamo nel 2007 e la band inglese, prima tra i progetti con un reale peso discografico, propone l’album con una distribuzione esclusivamente digitale (per i primi due mesi). Il sistema di download prevedeva un fee libero, inaugurando una modalità che verrà denominata paywhatyouwant. In poche settimane il disco vende centinaia di migliaia di copie e diventa un caso mediatico fondamentale: da qui in poi, il concetto di musica distribuita digitalmente e legalmente comincia ad esistere nell’immaginario collettivo. Nascono provider di file musicali a pagamento, ad esempio ItunesMusic e si comincia sempre di più ad acquistare musica senza supporto fisico.

Facciamo un salto in avanti e dal mondo anglosassone passiamo a quello italiano. FIMI è l’ente che dal 2009 è preposto al controllo e alla certificazione dei successi di vendita nell’ambito discografico. Premi come i “dischi d’oro”, i “dischi di platino” etc. sono assegnati da FIMI. Sebbene in Italia si sia proverbialmente lenti a recepire ogni innovazione, dal 2015 l’ente inserisce nei suoi calcoli anche i download degli acquisti digitali. Già a questa altezza cronologica, il digitale rappresenta una grande fetta del mercato discografico, che sarebbe esploso negli anni successivi.

Dal 2020 nei conteggi FIMI vengono acquisiti anche dati relativi alle piattaforme di streaming, sancendo definitivamente il passaggio a una nuova era nella fruizione musicale. E oggi? Vi lascio con un ultimo dato, imponente. 22 miliardi. Spotify Italia esiste da dieci anni e, secondo gli ultimi report pubblicati dalla piattaforma, questo è il numero di stream di brani del repertorio italiano effettuati dagli utenti. Il volume di dati scambiati è impressionante: su Spotify ci sono, ad oggi, 196 mila artisti italiani. È evidente che la musica sia ormai tutta lì. E che sia davvero tanta. A portata di click. Abbiamo abbastanza dita per toccarla tutta?

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