CHI TUTELA IL DIRITTO ALLA CONSAPEVOLEZZA ALIMENTARE DEI BAMBINI?

03 Ott 2021

Di Silvia Camisasca e Irene Canfora

“Sostanza destinata a essere ingerita da esseri umani”: così recita la definizione di alimento
forgiata dal diritto europeo nel 2002. Da sempre, il cibo, per sua stessa natura bene di consumo attentamente monitorato, anche per l’impatto sulla salute delle persone, finisce sulle nostre tavole in base a scelte alimentari quotidiane influenzate da tradizioni culturali, dall’etica, dai ritmi di vita, dalla pubblicità e dalle informazioni
veicolate attraverso l’etichettatura dei prodotti.

Tutti gli aspetti inerenti a sicurezza e informazioni sono divenuti centrali per il legislatore, soprattutto dopo le crisi alimentari di fine millennio. Quando tali alimenti sono destinati a consumatori/trici inconsapevoli, come neonati/e o minori, occorrerebbe favorire una crescita che prevenga eventuali problematiche di salute e tesa a sviluppare una coscienza critica da consumatori/trici maturi/e.

“Per i prodotti alimentari esiste ormai una legislazione consolidata, di matrice europea, che va dalle regole imposte alle imprese in tutte le fasi di produzione e distribuzione, fino all’informazione e alla comunicazione pubblicitaria” chiarisce Irene Canfora, professoressa ordinaria di Diritto Agroalimentare all’Università di Bari, tra le massime esperte europee in materia, autrice di oltre 150 pubblicazioni scientifiche, sottolineando che “dal punto di vista giuridico, gli strumenti a disposizione del legislatore, per favorire una corretta scelta nutrizionale, interessano sia il versante delle imprese, sia le misure pubbliche per orientare i/le consumatori/trici (di tutte le età) a scelte consapevoli”.

Suppongo che un aspetto assai delicato riguardi regole e obblighi imposti alle imprese. Indubbiamente: si pensi, ad esempio, alle “nuove” indicazioni nutrizionali, che si collocano a metà strada tra l’evidenza di dati scientifici sull’efficacia nutrizionale stessa (oggetto di verifica da parte delle autorità prima dell’immissione sul mercato), l’impatto informativo e, nel contempo, attrattivo per il/la consumatore/trice, come nel caso della dicitura “ad alto contenuto proteico”.

L’altro aspetto riguarda gli interventi pubblici tesi all’educazione alimentare: al di là delle informazioni sul prodotto, si può intervenire attivamente mediante campagne informative, anche nel campo dell’istruzione o nella
definizione delle scelte dei pasti mensa.

Il parametro normalmente adottato per valutare la consapevolezza del/lla consumatore/trice, in ambito alimentare, è di un soggetto “mediamente informato e ragionevolmente avveduto”, come ha più volte ribadito la giurisprudenza, nell’interpretare le norme del diritto alimentare: un criterio valido in generale, ma non per i/le più piccoli/e, esposti/e, per altro, al rischio di una pubblicità spesso ingannevole e aggressiva.

Se ogni età ha i suoi diritti, ciò vale, prima di tutto, per il diritto a una corretta alimentazione e si riflette, sul piano giuridico, sull’esigenza di calibrare gli strumenti di tutela, soprattutto dei/lle bambini/e, in qualità di consumatori/trici. Questo è senz’altro vero per i prodotti destinati ai/lle lattanti e ai/lle bambini/e nella prima infanzia, che rispondono a una logica analoga a quella dei prodotti destinati a categorie di soggetti che richiedono
un’alimentazione particolare: una disciplina specifica dell’UE si occupa della loro composizione ed etichettatura,
anche se l’acquisto e l’utilizzo saranno comunque mediati da una figura adulta.

Le leggi sui divieti di vendita e somministrazione di bevande alcoliche agiscono nella stessa prospettiva. Altra questione, ben diversa perché attiene al comportamento dei/lle più piccoli/e nel consumo di determinati prodotti,
riguarda i cibi “spazzatura”, per i quali si rischia l’obesità.

Uno studio dell’OMS del 2021 segnala come in Europa il fenomeno continui a essere preoccupante (4° report - WHO
European Childhood Obesity Surveillance Initiative). I/le bambini/e subiscono gli effetti di pubblicità e immagini attrattive confezionate dal mondo dell’industria alimentare e indirizzate principalmente a minori. Un’adeguata risposta legislativa dovrebbe agire in due direzioni: quella dell’educazione alimentare sin dall’età scolare, e, al di fuori di questa sfera - poiché i minori subiscono comunque la persuasione di campagne pubblicitarie - quella di interventi tesi a contenere la diffusione di prodotti non salutari.

Come valuta l’adozione, discussa e discutibile, da parte di alcuni Paesi europei dell’etichettatura a semaforo (nutri-
score), tesa a scelte alimentari più consapevoli?

È uno stratagemma per semplificare visivamente caratteristiche nutrizionali già obbligatorie sulle confezioni, ma per i/le bambini/e, che non sono i/le diretti/e responsabili dell’acquisto, occorre intervenire sulle diverse forme che canalizzano la pubblicità, appositamente inserita nelle trasmissioni a loro dedicate, i cui messaggi esaltano i prodotti “a rischio obesità”.

La direttiva europea sui servizi di media audiovisivi incoraggia ora strumenti di soft law, codici di condotta delle imprese, “per ridurre efficacemente l’esposizione dei/lle minori” sia alle “comunicazioni commerciali audiovisive di bevande alcoliche”, sia a quelle di “prodotti alimentari o bevande che contengono sostanze nutritive, la cui assunzione eccessiva nella dieta generale non è raccomandata” e il legislatore italiano ha totalmente accolto questa opportunità. Si tratta ora di vedere come verrà data esecuzione alla delega, per dare attuazione alla normativa europea.

SILVIA CAMISASCA, 1976, dottoressa in fisica nucleare
con dottorato in applicazioni fisiche ai beni culturali.
Giornalista professionista.
IRENE CANFORA, 1970, professoressa ordinaria di diritto
agroalimentare ed esperta di diritto internazionale presso
Università di Bari.

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