CHI SONO IO?
Per sentire, capire la musica, l’ho dovuta sempre prima leggere e poi ascoltare. È una contraddizione enorme, per me che adoro la musica. Per riprendermi tutto ciò che la sordità mi toglie, devo prima conoscere i testi, indagare i commenti e i significati. Solo così, una canzone diventa parte di me. “Come together” dei Beatles, ad esempio, offre una sequenza di batteria tra le più complesse da realizzare. Un’emozione unica, intima, tamburellare con le dita mentre la canzone va…
Mi chiamo Daniele Regolo, ho 50 anni e sono Brand Ambassador Diversity & Inclusion presso Seltis Hub. Quando avevo circa due anni i miei genitori hanno scoperto che ero un bambino sordo, probabilmente sin dalla nascita. Ricordo ancora tutti gironzolare intorno a me. Otorinolaringoiatri, logopedisti, insegnanti di sostegno e i miei genitori, ovviamente.
È inutile dire che nascere negli anni ‘70 con una sordità pre-linguale ha avuto un impatto fortissimo sulla mia esistenza (e lo ha ancora adesso, dopo tanto tempo). Allora, l’essere sordi era prima di tutto e soprattutto un problema. Una montagna gigantesca da scalare e non una condizione da accettare e da rielaborare. La visione generale della sordità era “medico-centrica” al punto che anche alcuni strumenti di inclusione, come l’insegnante di sostegno a scuola, poteva diventare una situazione boomerang che sottolineava la distanza tra me e i miei compagni invece che annullarla.
Ma come in ogni storia, anche nella mia c’è stato un punto di svolta. A venticinque anni ho conosciuto Renato Pigliacampo, psicologo non udente e autore di libri scientifici. Mi fece leggere “Vedere Voci” di Oliver Sacks, libro che mi ha cambiato nel profondo. Grazie a quell’incontro iniziai a fare pace con l’essere sordo: la mia disabilità non era più un ostacolo, ma una condizione che avrebbe richiesto un continuo percorso di ridefinizione del me. Da questa consapevolezza è nata la decisione di occuparmi ogni giorno di D&I, nel lavoro e nella vita.
Da quel momento ho continuato a chiedermi: chi sono io? La risposta si è moltiplicata, come se ci fossero tanti me stratificati. Sono un lavoratore, una persona con disabilità, un padre, un velista (per me andare in mare è un atto di fede, non lo sport domenicale).
Sono anche la mia voce. Arrivato a sentire pochissimo, nel 2018 mi sono sottoposto all’intervento di impianto cocleare: un cambiamento radicale. Sono passato dal non udire quasi più nulla a sentire ogni sfumatura di suono. Ho scoperto sonorità che non conoscevo soprattutto quelle medio acute. Non sapevo che in “Come together” la chitarra alla fine fosse accompagnata da una irresistibile sonorità di piatti.
Mi ci sono voluti diversi mesi per abituarmi al nuovo me. Ora non mangio più le parole quando parlo, posso conversare con alcune accortezze anche al telefono e ascoltare la musica in un modo diverso, più completo. Le parole dei Doors, dei Beatles, dei Pink Floyd fanno parte di me - già, perché la disabilità mi ha fatto sperimentare molteplici identità. Chi l’avrebbe mai detto!
In questo percorso rivedo con indulgenza alcune esternazioni che mi ferivano: “Ma tu non sei un vero sordo! Parli…”. Mi sono reso conto che la consapevolezza sui bisogni delle persone sorde è ancora molto scarsa da parte della società. Ma conoscere è importante per includere. Ad esempio, molti non sanno che la parola sordomuto è da abolire dal vocabolario. Si tratta infatti di un termine obsoleto, che, in base all’articolo 1 della Legge 20 Febbraio 2006, n. 95 è stato cancellato e sostituito dal termine Sordo in tutte le dispositive vigenti (L.95/2006).
Non solo, tra i sordi esistono due comunità con punti di vista a volte differenti: quelli a favore della lingua dei segni e quelli a favore della lingua orale. Una diatriba antica come il mondo. Il “Congresso Internazionale per il miglioramento della sorte dei Sordomuti”, tenutosi a Milano nel 1880 fu una data storica che segnò il destino di tutti i sordi del futuro perché venne approvata una risoluzione che esaltava la lingua orale e bandiva la lingua dei segni. Di fatto la lingua segnica continuò a “tramandarsi” di nascosto, fino ad oggi. Martha’s Vineyard, un’ isola del Massachusetts, negli USA, è famosa perché nel corso dell’Ottocento circa lo 0,7% della popolazione era sorda, una percentuale di circa venti volte superiore la media nazionale dell’ epoca. La condizione era così diffusa che moltissimi abitanti conoscevano la lingua dei segni e la usavano regolarmente anche fra persone udenti.
La contrapposizione tra chi è a favore e chi contro la lingua dei segni è ancora in atto nella comunità dei sordi. Per questo è importante informarsi e conoscere ogni sfaccettatura di questa dimensione, perché nessuna persona sorda è uguale all’altra e ciascuno richiede degli ausili o “accomodamenti ragionevoli” precisi. È anche per questo che in Seltis Hub, ogni volta che si organizza un evento - che sia aziendale o aperto al pubblico, online o in presenza - utilizziamo un approccio intelligente all’organizzazione. Si individuano le esigenze dei partecipanti prevedendo la sottotitolazione di ogni intervento e l’attività di interpreti LIS. Siamo in grado di avere un rapporto diretto con le persone, chiediamo loro di indicarci la modalità che preferiscono. Perché inclusione è anche intelligenza, personalizzazione, strategia, umanità ed equilibrio.