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ARTE - TABLEAUX - CALVINO, L'IMMAGINE SENZA CONFINI

A cura di Gianluca Cabula
21 Dic 2023

Già il nome indicava un confine, per “Italo” Calvino: quel nome conteneva l’Italia, lo davano gli espatriati ai figli per ricordargli le loro origini. Nel caso di Italo, il rimpatrio da Cuba arrivò molto presto, quando aveva appena due anni, e tuttavia quel nome impegnativo gli rimase attaccato, portando con sé un paradosso: certo, c’è l’Italia dentro Italo, ma proprio Calvino sarebbe divenuto un grande scrittore internazionale, distante dalla tradizione, e forse dal provincialismo della nostra letteratura, capace di fare dell’Italia un paese che si allarga a tutto il mondo, come il Marco Polo de Le città invisibili con l’impero di Kublai Khan. Al “Favoloso Calvino”, come Gore Vidal intitolò un suo articolo nel 1974, è dedicata una grande mostra alle Scuderie del Quirinale, che celebra il centenario della nascita dello scrittore. Mostra che già di per sé attraversa un confine, quello tra scrittura e immagine, per Calvino assolutamente permeabile: è la scoperta dell’immagine dentro la scrittura che riesce a superare le secche del realismo, ed è proprio a partire da essa che si costruisce, per propulsione, lo sviluppo narrativo. Sono tre grandi immagini, infatti, a generare la trama de La Trilogia degli antenati, e lo sono anche quelle che, stavolta prese a prestito dal mondo scientifico, tessono il filo de Le Cosmicomiche. Una via che fu in un certo senso una scelta obbligata: Calvino si cimentò per anni nell’impresa di un grande romanzo realista, senza riuscire a concluderlo. Lungi dall’essere un autore “risolto”, collocato erroneamente lontano dai tormenti dei suoi contemporanei, Calvino si rese infatti conto che le poetiche del dopoguerra si erano esaurite, che la letteratura era diventa un terreno terremotato, profondamente instabile. E scelse quindi di esporsi, oltrepassare il confine, diventare quasi un punto di trasparenza attraverso cui fosse possibile leggere quante cose la letteratura può essere: anche col rischio che il caso potesse risucchiare la pagina. Caos che può assumere le sembianze di una natura selvaggia, soverchiante, non padroneggiabile, sfuggente all’ordine e alla nomenclatura: vacue sistemazioni umane di Calvino, figlio di una botanica e di un agronomo, ben conosceva la pretesa esattezza. Non è un caso che un omaggio al mondo vegetale sia l’opera di maggiori dimensioni presente in mostra, l’Arazzo Millefiori di Pistoia (fig.1), capolavoro dell’arte rinascimentale fiamminga, in cui lo sguardo si smarrisce in una natura caleidoscopica.

Ancora, sempre il caos può dissolvere l’identità dei personaggi: come quella del vecchio, impronunciabile narratore Qfwfq, perenne presenza del cosmo, metamorfico nel tempo, nello spazio e nella parola. Questo universo straniante, surreale, relativistico, che è esistito prima ed esisterà dopo l’essere umano - “l’uomo è solo l’occasione che il mondo ha per organizzare alcune informazioni su sé stesso” - non può prendere forma se non nelle estrose invenzioni di Escher, rappresentato in mostra da una xilografia del 1947 che si intitola, appunto, “Un altro mondo” (fig. 2).

Ma il caos può anche emblematicamente materializzarsi in una forma urbana, in quell’atlante di metropoli tentacolari e distopiche che sono le città invisibili: città fatte di più città, filiformi come insetti acquatici, al pari delle sculture di Fausto Melotti (fig. 3), città che ne contengono altre nascoste, città informi che perdono i confini, fondendosi in un unico agglomerato continuo e indifferenziato, coincidente con le terre emerse. Scenari infernali e ormai invivibili, in cui la perdita del confine è la perdita del senso stesso dell’esistenza. 

Favoloso Calvino. Il mondo come opera d’arte. Carpaccio, de Chirico, Gnoli, Melotti e gli altri, Scuderie del Quirinale, Roma
dal 13 ottobre 2023 al 4 febbraio 2024

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