BORDERLIFE, DORIT RABINYAN
“Borderlife” di Dorit Rabinyan (pubblicato da Longanesi nel 2016 e tradotto dall’ebraico da Elena Loewenthal)non è un romanzo che parla in maniera esplicita di famiglia, dal momento che preferisce concentrarsi sulle tematiche dell’amore, del senso di appartenenza, dei condizionamenti interni ed esterni e delle radici, cheperò con la famiglia hanno strettamente a che fare.
Nell’autunno del 2002, il secondo senza le Torri Gemelle, Liat, ebrea residente in Israele, si trova a NewYork con una borsa di studio in traduzione quando conosce Hilmi, giovane pittore palestinese, spontaneo, sregolato e per lei assolutamente irresistibile. La passione travolgente che esplode tra i due si trasforma presto in una storia seria, che però ha già una data di scadenza: il 20 maggio 2003, giorno in cui Liat dovrà tornare al suo vero Paese, alla sua vera famiglia e alla sua vera vita.
Impossibile infatti per lei pensare di restare, di costruire un futuro alternativo a quello immaginato da sempre, di vivere lontana dal suo amato mare, quel mare che Hilmi riesce a vedere solo all’orizzonte, nei giorni senza foschia, nonostante Ramallah (la città della Cisgiordania da cui viene) e Tel Aviv siano separate da appena una sessantina di chilometri. Chilometri però costellati di posti di blocco presieduti dall’esercito dello Stato di Israele (di cui la stessa Liat ha fatto parte durante l’anno di leva obbligatoria) e bloccati dalla “barriera di separazione israeliana”, un lunghissimo e controverso muro costruito a partire dalla primavera del 2002 come “mezzo di difesa dal terrorismo”, anche se dal punto di vista palestinese assomiglia molto più a uno strumento disegregazione razziale.
Questa “doppia realtà”, questa contrapposizione quasi totale nel modo di intendere e percepire le stesse cose emerge in ogni aspetto della storia tra Liat e Hilmi, moderni Romeo e Giulietta, del loro carattere e della loro concezione del domani: mentre la ragazza a casa ha una famiglia che l’aspetta e un padre che le dice: “Che cosa sei andata a cercare laggiù non l’ho ancora capito”, lui ha fratelli sparsi in tutto il mondo e una madre che, per quanto vorrebbe riabbracciarlo, gli consiglia di “restare in America e di costruirsi un buon futuro”.
Liat è continuamente tormentata dal dispiacere che proverebbero i genitori se sapessero di Hilmi ed è quasi ossessionata dalla necessità di tenere nascosta la relazione; nonostante all’inizio si confidi con la sorella, il rapporto tra le due si incrina quando Iris inizia a mostrare insofferenza e poca tolleranza, intrappolando Liat in un paradosso senza via d’uscita: per proteggere e tutelare la famiglia tanto amata, che nella sua scala di valori è sopra a qualunque altra cosa, si preclude la possibilità di condividere con loro l’evento più importante e significativo della propria vita. Di contro, Hilmi parla apertamente di lei con i parenti, ma quando il fratello maggiore, Wasim, va a trovarlo a NewYork e ha un duro scontro con Liat, decide di non difendere la fidanzata per dare priorità al rispetto di quel legame di sangue che per lui, come per lei, viene prima di tutto.
La ragazza ebrea e il giovane palestinese hanno lo stesso attaccamento alla terra e alla famiglia, anche se dai due lati opposti di un muro, e forse è per questo che la loro storia è impossibile: non tanto per le differenze, quanto per le similitudini, per le radici che affondano nello stesso terreno, dove però non sembra esserci spazio sufficiente. A dimostrazione del fatto che sono le uguaglianze a fare davvero paura, dopo la pubblicazione dell’edizione originale il Ministero dell’Istruzione israeliano ha bandito “Borderlife” dai programmi scolastici in quanto “minaccia all’identità ebraica”, dal momento che promuoverebbe i matrimoni misti e incoraggerebbe “l’assimilazione”. Ma, com’è risaputo, i popoli sono spesso più progressisti degli organi che li governano, per cui l’opera di Dorit Rabinyan (ispirata alla vera storia d’amore tra l’autrice e l’artista palestinese Hasan Hourani) è diventata nel giro di pochissimo un caso editoriale, anche grazie alla mobilitazione di grandi nomi della letteratura come Amos Oz, andando a ruba nelle librerie e ottenendo, forse, un successo ancora più grande di quello che avrebbe avuto senza la messa al bando del ministero.