BCG: Nuovi modelli di Allyship intersezionale
Cosa vi ha motivate a dedicarvi alla DE&I in azienda?
Elena B: Sono entrata in BCG un anno e mezzo fa, dopo un’esperienza come ingegnera in UK, lì è nato il mio interesse per la gender diversity perché ero spesso l’unica donna. Con il tempo ho ampliato la mia visione verso tutte le altre forme di diversity, e così mi sono appassionata all’idea dell’allyship.
Elisa S: Sono in BCG da due anni e mezzo, nel settore tecnologia e digital, dove la percentuale femminile è sempre molto bassa. All’inizio ero meno consapevole di queste dinamiche, ma col tempo ho capito quanto sia fondamentale l’approfondimento sui temi DE&I, anche grazie a dei momenti di networking particolarmente illuminanti. Ho capito che, oltre alle cose che mi risuonavano per esperienze personali, c’erano delle competenze che avrei potuto apprendere, delle lenti nuove per guardare il mondo. In BCG ho trovato un ambiente che valorizza davvero la DE&I, e ho voluto contribuire per fare la mia parte.
Cosa vuol dire “ripensare il modello di allyship”?
Elena B: In BCG esistono 4 diversi network dedicati alla promozione di specifici aspetti della diversity: Women, Pride, Accessibility ed Ethnicity; ognuno coinvolge le persone interessate a supportare queste tematiche, spesso perché vi si identificano. Abbiamo sviluppato l’idea dell’allyship intersezionale che si impegna a promuovere la diversity in tutte le sue forme. Questo approccio ampio e inclusivo è stato il punto di partenza per sviluppare ulteriormente il nostro lavoro.
Elisa S: L’idea è quella di superare la frammentazione su temi specifici e promuovere un modello intersezionale, con un percorso evolutivo in tema di DE&I. Ci sono tre livelli o archetipi: si parte da un livello iniziale di Culture builder in cui si acquisiscono conoscenze partecipando a eventi e training. Una volta raccolti gli strumenti, si passa a un coinvolgimento più attivo. Il secondo step è quello di Active supporters, dove si può contribuire ad esempio organizzando eventi, moderandoli, partecipando a gruppi di lavoro e alla formulazione di proposte sulla DE&I, evitando che solo poche figure ricorrenti si occupino sempre delle stesse tematiche. Infine, il percorso culmina con ruoli formali di Change Champion: figure riconosciute nell’azienda come punti di riferimento per la D&I con l’obiettivo di dare visibilità e aumentare il committment della leadership.
Come vi siete accortɜ che fosse necessario ricercare l’intersezionalità tra i vari gruppi?
Riccardo B: L’idea è nata da una riflessione condivisa tra me e Sara Taddeo, la senior manager del Dipartimento DE&I. Durante il colloquio per entrare in BCG, chiesi: “Sono un uomo bianco, etero, cisgender, senza disabilità e in una posizione socio-economica privilegiata. Posso davvero fare qualcosa in questo campo?”. La risposta che mi diede fu illuminante: proprio grazie al mio privilegio potevo fare la differenza. È stato il motivo che mi ha spinto a intraprendere questo lavoro e mi ha fatto capire che potevo e dovevo fare qualcosa. Questa riflessione ci ha portatɜ a chiederci: perché concentrare le energie sui network in modo verticale? Certo, ogni ambito della diversity ha le sue specificità, ma ci sono competenze trasversali, come l’ascolto attivo, l’empatia, e la capacità di riconoscere e correggere i bias, che valgono per tutti i contesti. Allo stesso tempo, un approccio a “silos” rischia di creare frizioni o, peggio, competizioni tra le diverse aree, mentre l’obiettivo deve essere comune: valorizzare il talento e permettere a tutte le persone di esprimere il proprio potenziale in un ambiente sereno e inclusivo, dove possano fiorire. Da qui, abbiamo deciso di ripensare il nostro approccio, immaginando un modello intersezionale e trasversale che metta la persona al centro, indipendentemente dalle sue caratteristiche. é un tema di diritti in senso ampio e come tale va affrontato.
Qual è stata la risposta che avete ricevuto da parte deɜ vostrɜ colleghɜ?
Elena B: Variegata, anche con qualche perplessità. Però, dopo 6 mesi di lavoro, in cui anche noi siamo riuscitɜ a comunicare questo nuovo approccio in modo chiaro, la percezione è cambiata. Ora il framework è ampiamente accettato e apprezzato. Il progetto di allyship ha raggiunto un importante traguardo, sviluppando un modello condiviso da tutti i network, ora in fase di definizione operativa e destinato a un lancio ufficiale nel 2025! Questo percorso, co-costruito attraverso forum e collaborazioni, ha coinvolto attivamente persone di diverse aree aziendali, andando oltre un approccio top-down.
Cosa vuol dire secondo voi essere buonɜ alleatɜ?
Elena B: Credo essere buonɜ alleatɜ sia legato all’apertura mentale, alla capacità di capire che ognunǝ interpreta situazioni, dinamiche o frasi in modo diverso. L’alleatǝ cerca di far sentire tuttɜ a proprio agio, riflettendo prima di parlare e considerando come le proprie parole possano essere percepite.
Elisa S: Bisogna anche essere prontɜ a mettersi in discussione, anche facendo(si) domande dure e difficili che possono farci comprendere che la nostra è spesso una visione parziale della realtà.
Riccardo B: Richiede innanzitutto umiltà e consapevolezza dei propri privilegi, spesso difficili da riconoscere. L’allyship potrebbe essere percepita come qualcosa di passivo: il primo passo è adottare un atteggiamento di ascolto attivo, facendo domande e dimostrando empatia ed interesse per qualcosa che non riguarda la nostra esperienza ma quella delle altre persone, dedicando tempo per entrare in connessione. Poi il ruolo può evolversi verso un coinvolgimento attivo, trasformando l’ascolto in azioni concrete. È una grande soddisfazione vedere che in BCG ci sono persone che dedicano il proprio tempo e le proprie energie per la collettività.