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Baby boomers generation

1947 - 1964
A cura di Pier Luigi Cara
16 Ago 2023

Tra il 2004 e il 2009 come deputata del Parlamento europeo ha fatto parte della Commissione Industria, Ricerca ed Energia. Sono passati oltre dieci anni e in Europa, e ancor più in Italia, si investe poco nel settore R&S. Qual è la posta in gioco?

Investire in ricerca significa scommettere sul futuro, sulla crescita, sul lavoro e sul miglioramento delle nostre vite in senso lato. L’autonomia strategica dell’Europa, invocata dal presidente francese Emmanuel Macron, è fondamentale perché l’Ue sia davvero un attore forte sullo scacchiere internazionale. Perché possa diventare realtà necessita anch’essa di investimenti ingenti. Sembra però che ne manchi la consapevolezza. Guardando all’Unione europea nel complesso, nel 2021 sono stati spesi in ricerca e sviluppo 328 miliardi di euro, con un aumento del 6% rispetto all’anno precedente (310 miliardi di euro). In apparenza un buon risultato. Se però si osserva la spesa in rapporto al Pil degli Stati, si scopre un calo dal 2,31% nel 2020 al 2,27% nel 2021. L’Italia è ben al di sotto della media europea: al momento non si arriva all’1,5% di spesa in ricerca. Il nostro Paese si trova così a metà della classifica europea superata persino da Paesi più piccoli come Ungheria e Portogallo.

Il futuro dell’Europa passa anche da un altro tema chiave: la gestione dell’immigrazione. C’è a suo parere una soluzione che sia buona e tenga conto delle esigenze di tutti?

Intanto l’immigrazione va guidata non con un approccio emergenziale, ma strutturale. Con una consapevolezza: abbiamo bisogno anche di persone immigrate per far fronte al nostro inverno demografico. Al momento la titolarità della gestione è in capo ai singoli Stati, ma è necessario cambiare le norme. Il regolamento di Dublino risale al 1990 e rispondeva a esigenze diverse da quelle attuali, la regolamentazione dei flussi oggi deve avvenire a livello Ue. Oltre all’aspetto umano, fondamentale, va tenuto a mente che le persone migranti sono una grande risorsa per colmare vuoti socioeconomici. Anche il Governo italiano, nel Documento di economia e finanza, ha parlato di “impatto rilevante” dell’immigrazione per ridurre il debito pubblico.

Che valore aggiunto possono dare le donne nell’Europa di domani e cosa va fatto oggi perché accada?

Le donne sono un’enorme riserva di talenti sottoutilizzati, devono quindi essere messe nelle condizioni di esprimere le proprie potenzialità. L’approccio femminile alla risoluzione dei problemi arricchisce e completa quello maschile. Non è un caso che le aziende siano state tra le prime ad accorgersi di quanto fosse prezioso il contributo delle donne. Eppure, nonostante in media siano più scolarizzate, una divisione dei ruoli ancora “tradizionale” fa sì che la gestione della famiglia gravi soprattutto sulle loro spalle. È essenziale favorire politiche che garantiscano servizi che aiutino le ragazze a non dover scegliere tra famiglia e lavoro. Perché ci sia davvero parità è però necessario combattere gli stereotipi di genere fin dall’infanzia. Le bambine e le ragazze devono essere incoraggiate a scuola e in famiglia a intraprendere percorsi professionali in ambito Stem e i bambini a dare un contributo reale nella cura, perché entrambi capiscano da subito che non ci sono professioni né ruoli riservati solo a un genere. Non penso solo al lavoro però: le donne sono state e sono fondamentali anche nella politica e nella costruzione dell’Unione europea. Ricordiamoci che, oltre ai padri fondatori, abbiamo anche grandi madri come Ursula Hirschman, che contribuì alla stesura del Manifesto di Ventotene.

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