ALTAMIRA 2042 un rito d'amore per l'Amazzonia
Nella regione brasiliana di Altamira, sul fiume Xingu, è in corso la costruzione della terza centrale idroelettrica più grande al mondo: Belo Monte. Da anni le comunità indigene protestano contro la realizzazione di quest’opera, subendo dure repressioni: Belo Monte, infatti, sta mettendo a rischio la biodiversità e la vita delle popolazioni che abitano la regione, bloccando con pareti di cemento il passaggio che consente di raggiungere in canoa la città di Altamira e sterminando diverse specie di pesci necessarie per la sussitenza degli abitanti dell’area.
Gabriela Carneiro da Cunha è andata sul fiume Xingu, ha incontrato le persone del posto, ha raccolto interviste, immagini e suoni, e ha dato vita ad Altamira 2042, meraviglioso rito teatrale che abbiamo avuto la fortuna di vedere al festival di Santarcangelo 2022.
In uno spazio buio che rompe la divisione tra palco e platea, tra attrice e pubblico, l’Amazzonia prende vita da diverse casse audio che si illuminano, in un intelligente contrasto tra i mezzi tecnologici utilizzati e il desiderio di rendere materico e sensoriale lo spazio che viene evocato. Il fiume e la diga sono insieme carnali e spirituali, emergono dai racconti delle donne che resistono alla costruzione, dai canti, da semplici oggetti che come tracce di un mito appaiono e scompaiono dal buio. Gabriela Carneiro de Cunha si muove in questo spazio a strettissimo contatto con il pubblico, accende e spegne casse e poi le indossa, srotola cavi come serpenti che nascono dalla sua schiena, il suo viso è un proiettore da cui sgorgano le immagini di Altamira, del fiume Xingu, delle proteste contro la costruzione di Belo Monte. Il suo corpo nudo si fa carico, non solo metaforicamente, delle voci, dei suoni, delle immagini in un atto di memoria e di resistenza: è corpo politico dove l’attrice, sottraendosi e diventando tramite della storia che sostiene, è una sciamana/cyborg che permette al rito di compiersi.
In una conversazione durante il festival di Santarcangelo, Gabriela Carneiro de Cunha ha raccontato di quanto inzialmente fosse per lei difficile definire Altamira 2042 teatro, di come voglia non tanto teatralizzare l’amazzonia, quanto “amazonizzare il teatro”: questo avviene perché Altamira 2042 prende la forma di un grande rito collettivo, dove il pubblico diventa parte di un atto di resistenza, di un’azione politica e sacra. Uscite dalla sala, rimaniamo con la sensazione di aver attraversato uno spazio onirico, fatto di visioni: resta sul corpo, finalmente, la sensazione di aver assistito a una creazione necessaria, uno in quei rari casi in cui l’ego dell’artista sparisce, ritrovando quella dimensione rituale che fa del teatro un mezzo potente di cambiamento sociale e rivoluzione. Una rivoluzione che allo sfruttamento patriarcale delle risorse risponde con la forza femminile delle storie, dell’invisibile, del sapere vedere oltre e farsi attraversare, perché, come racconta una delle voci delle donne che si oppongono alla costruzione di Belo Monte “gli spiriti dell’acqua sono come il vento. Non puoi vederli ma può sentirli. Lo vedi il vento? No, ma lo senti. È lo spirito delle acque. È Xingu. L’eredità di nonne, madri, zie. Sono le donne a tramandare questa spiritualità. Credono nelle stelle, negli antenati, in chi ha lasciato loro la biodiversità sotto forma di spiriti.”