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ALLA SCOPERTA DEL METAVERSO

A cura di Manolo Farci
22 Mar 2023

A metà degli anni Novanta, quando Internet iniziava a diffondersi massivamente, una delle metafore più in voga per parlare degli ambienti digitali era quella del cyberspazio.

In modo utopico, il cyberspazio veniva spesso descritto come un regno di libertà e autonomia, dove a tutt*, senza distinzioni di genere, etnia o religione, era concesso indossare il proprio avatar virtuale e sentirsi liber* di esprimere davvero se stess*, come difficilmente avrebbero potuto fare nella vita reale. Un ambiente immersivo intrinsecamente inclusivo che avrebbe permesso alle persone di emanciparsi da tutte le forme di discriminazione, quali razzismo, sessismo e omofobia.

Se c’è una realtà che oggi sembra voler rilanciare l’idea di Internet come luogo davvero inclusivo è il Metaverso. Molti sperano che questo spazio virtuale condiviso ed interattivo possa ovviare agli errori dei social media, incapaci - a detta di molti - di aver saputo creare un ambiente realmente equo, privo di discriminazione o esclusione sociale. Non è un caso che tante aziende hanno iniziato a coinvolgere nella progettazione delle proprie piattaforme esperti di disabilità, etnia, religione e genere per realizzare spazi immersivi che possano andare incontro alle esigenze di persone storicamente marginalizzate.

Un caso interessante è il lancio da parte di Roblox, una delle piattaforme più usate come porta d’accesso al Metaverso, del progetto Layered Clothing Studio, un sistema innovativo che permetterà a tutti di indossare fino a sette strati di abbigliamento sul proprio avatar. Tra gli abiti proposti molti si rifanno a indumenti tradizionali e religiosi, proprio per garantire rappresentanza e visibilità a persone appartenenti a differenti culture. Allo stesso modo, Bitstrips, piattaforma di creazione di avatar di proprietà di Snapchat, ha recentemente presentato una selezione dei suoi adesivi più popolari su una sedia a rotelle manuale e ha lavorato con un consulente per i diritti dei disabili su elementi di design, come la protezione per le braccia, il poggiapiedi, il tessuto del sedile e il modo in cui sono posizionati i raggi.

Un altro passo importante verso una reale inclusività riguarda la possibilità di rendere il Metaverso uno strumento di sperimentazione identitaria a vantaggio soprattutto delle comunità LGBTQ+. Mentre le piattaforme dei social network come Facebook o Instagram inchiodano gli utenti ad un profilo pubblico strettamente connesso al mondo reale, le tecnologie immersive offrono agli individui l’opportunità di dotarsi di una rappresentazione di sé che, come avveniva con l’Internet degli esordi, permette di focalizzarsi meglio su quegli aspetti identitari che nella vita reale si fa più fatica ad esprimere. Questo elemento è particolarmente importante per le generazioni Z, un terzo delle quali si identifica al di fuori del binarismo di genere.

La possibilità di poter personalizzare il proprio avatar, scegliendo liberamente il tipo di corpo, i tratti del viso, le espressioni, il colore dei capelli, i peli del viso maggiormente desiderabili diventa per costoro uno strumento importante per comprendere chi si vuole veramente essere, in quanto facilita l’espressione e il consolidamento della propria identità di genere.

L’Institute of Digital Fashion, ad esempio, è stato uno dei primi a introdurre senza timore avatar non conformi al genere. Le opzioni di personalizzazione, come quelle che offre ad esempio Buddy progettato dal Trace Network Labs, possono avere un impatto concreto nella vita reale di un individuo genderqueer, in quanto gli garantiscono l’opportunità di esplorare, sviluppare e testare la propria personalità in un ambiente relativamente sicuro, senza dover affrontare discriminazioni, bullismo o isolamento sociale.

Certamente si tratta ancora di primi passi. Laddove le potenzialità delle tecnologie immersive appaiono ancora al di là delle capacità di immaginazione umana è difficile prevedere se in futuro avremo un Metaverso realmente inclusivo, equo e accessibile. È certo, tuttavia, che se le tecnologie immersive saranno usate principalmente dalle generazioni più giovani, l’inclusività sarà una condizione imprescindibile della loro stessa esistenza

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