
AGGIORNAMENTO TECNOLOGICO
di Patrik Landi
Se la cultura sono le idee, i costumi e i comportamenti sociali di una particolare società o gruppo di popoli, allora siamo tutti il prodotto del multiculturalismo perché nessuna società moderna si è evoluta in un contesto di autarchia culturale.
Personalmente, sono un “puro” prodotto del multiculturalismo per via delle mie radici famigliari e il mio percorso di vita, forgiato attraverso quattro continenti quindi, forse, mi basta l’intuito per cogliere questo principio.
Eppure, per quanto ovvio possa sembrarmi, non lo è per molti.
Vi potreste chiedere, a questo punto, quale sia la pertinenza di questa riflessione.
Non sono il solo a credere che comprendere gli altri, quelli differenti da noi, sia la strada per una coesistenza pacifica e anche un ingrediente fondamentale per costruire sia un tessuto sociale fiorente, sia comunità più resilienti. Antropologicamente la permeazione delle barriere culturali è stato uno dei vettori della trasmissione di conoscenze che hanno prodotto alcune delle grandi evoluzioni della storia umana.
La trasmissione di tecnologie trasformative come l’agricoltura, l’algebra, la pittura e la break dance sono il risultato di una cultura che offre a un’altra cultura durante un momento di scambio e di ibridazione la padronanza di quella conoscenza o consuetudine.
Per quanto semplicistica o utopica possa sembrare questa affermazione, è innegabile che abbattere le barriere culturali accelera il trasferimento di conoscenze, incrementa il nostro patrimonio di empatia, ci arricchisce personalmente e solidi- fica la comunità nella quale ciò avviene.
Nella sua forma più elementare l’interculturalità può esse- re considerata una tecnologia con la quale acquisiamo beni chiave come idee, informazioni e costumi e ne assimiliamo una parte nel nostro modus vivendi.
Come detentore di questa tecnologia, mi sono spesso chiesto se avessi la responsabilità di renderla disponibile agli altri. Quando mi sono trovato diverso, isolato e talvolta anche discriminato come l’unico giovane maschio nero nelle “stanze della finanza” dominate da vecchi uomini bianchi o, nelle “stanze dell’alta cultura”, dominate anch’esse da vecchi uomini bianchi (con una spolverata di donne, talvolta), qual era il mio dovere? Poiché possedevo - in quelle circostanze - co- dici per comprendere le diversità che gli altri non sembrava- no possedere.
Guardando indietro, non posso dire che le mie reazioni siano sempre state costanti.
A volte ho condiviso “la mia tecnologia” e costruito ponti mentre, altre volte, non ho usato giudiziosamente questo strumento di potere e ho lasciato prevalere istinti più primordiali.
Oggi penso che la paternità abbia cambiato la mia prospettiva, forse più per aiutare mio figlio che per aiutare il mondo. Certamente sento che, se posso aiutare altri a capire ciò che da sempre intuisco, forse potrò contribuire a creare un mondo migliore o, semplicemente, più accogliente per mio figlio. Inoltre, con il tempo, ho maturato la piena consapevolezza
della potenza di questa tecnologia e quanto gli esseri umani (per quanto di primo acchito possano temere le diversità e ciò che non conoscono) si sono rivelati, nell’insieme, esseri malleabili a influenze esogene.
Guardando al mondo oggi, dove è diventato quasi impossibile (e per fortuna) delineare un qualsiasi concetto di purezza poiché la contaminazione culturale è ubiqua, forse la vera responsabilità è aiutare gli altri a comprendere e abbracciare l’intercultura come la potente tecnologia che già è stata, e continuerà ad essere, per la costruzione dell’umanità come oggi la conosciamo.
PATRICK LANDI, 1977 (ma ho ancora 28 anni), BSC International Management, Università di Bath. Partner Fondo Opes Italia