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ADOZIONE INTERNAZIONALE E PATERNITÀ

Il racconto di Andrea Ferraris
A cura di Marta Bello e Maria Margherita Monticelli
24 Giu 2024

Andrea Ferraris è un fumettista che ha deciso di raccontare attraverso una graphic novel intitolata “Una zanzara nell’orecchio” il complesso ed emozionante viaggio che lui e sua moglie hanno compiuto in India per adottare la figlia Sarvari.

Com’è nata l’idea dell’adozione? Quali emozioni e sensazioni avete vissuto all’inizio?

Io e la mia compagna avevamo problemi ad avere figliə e, dato che abbiamo sempre avuto l’idea di adottare in una parte del mondo più sfortunata, l’abbiamo fatto. All’inizio avevamo un grande entusiasmo che piano piano si è spento per l’ingente burocrazia: ci sono voluti più di sei anni per concludere l’adozione. Al tempo c’era una legge che impediva alle coppie non sposate di adottare.

Noi convivevamo già da tempo, ma non eravamo sposati e quindi abbiamo dovuto farlo. Dopo il matrimonio era necessario far trascorrere almeno tre anni prima di poter iniziare le pratiche per l’adozione. Dal momento dell’inizio dell’iter ne sono passati altri tre, carichi di controlli e moduli da compilare; per un totale di sei anni. In quei sei anni sarebbe potuto succedere veramente di tutto!

Com’è stato il processo da quando avete avuto l’abbinamento con l’Indiae siete partit3? Come l’avete vissuta?

Nel fumetto ho usato la metafora della mia paura di volare per dare l’idea del fatto che non stavo capendo esattamente quello che stava succedendo. Mi stavo focalizzando su un problema abbastanza ridicolo, ignorando di fatto quello che avrebbe dovuto davvero preoccuparmi.

Non è stata una passeggiata: non tanto all’inizio, quando Sarvari ci ha aperto le porte dell’Istituto, quanto piuttosto nel momento in cui ha capito che una volta salita in macchina con noi non sarebbe tornata indietro. Lì sono cominciati i problemi che ho affrontato sul momento, non ero preparato. Ed è impossibile esserlo. Era una bambina di quattro anni e mezzo che aveva già una sua personalità, dei ricordi, affetti, come la sua suora preferita dell’istituto in cui viveva. C’è stato un momento in cui ho avuto l’impressione di averla quasi rapita, strappata dalla sua dimensione… In fondo è stato un po’ così. Per quanto adesso Sarvari ci adori e andiamo d’accordo, il suo è stato un atto di fiducia gigantesco.

C’è stato un momento in cui ti sei reso conto che eravate diventatə una famiglia?

Credo che esista un momento in cui le cose cambiano. Ce ne rendiamo conto soltanto dopo, quando le cose non sono più come prima. Anche l’adozione di Sarvari è andata così. Nel fumetto ho voluto esemplificarlo nella scena del bus: un giorno sull’autobus, io e mia moglie eravamo in piedi, mentre Sarvari era seduta. Siccome era piccola, e probabilmente era difficile associarla a noi per via del colore della pelle, le si è avvicinata una signora dall’aria preoccupata che le ha chiesto se fosse sola. Lei ha risposto: “no, ci sono loro due, mami e papi”. Lì ci siamo resə conto che per lei eravamo a tutti gli effetti due punti di riferimento. Non ce l’aveva mai detto prima, è stato emozionante.

Quando hai deciso di disegnare un fumetto su questa storia?

In realtà l’avevo deciso molto prima di quando poi ho effettivamente iniziato a disegnarlo. Ho aspettato che Sarvari crescesse perché volevo che partecipasse anche lei, e soprattutto, doveva darmi il suo permesso. Inizialmente aveva rifiutato la mia proposta, e io ho rispettato la sua scelta. Anni dopo è stata lei a ritirare fuori il discorso. I ricordi erano ancora vivi… È stato bello rivivere tutto per poterlo riraccontare.

Tra poco uscirà anche un film tratto dalla graphic novel!

Come hai vissuto la questione della genitorialità e della paternità?

All’inizio ho avuto difficoltà ed ero spaventato. È inutile nasconderlo. Ero ancora un ragazzo e diventare padre è stato un passaggio difficile ma fondamentale per la mia crescita: mi ha aiutato a spostare il punto di vista da me stesso a un’altra persona. Il fatto di essermi dovuto occupare di qualcunə che aveva bisogno di me, mi ha aiutato a uscire da questa visione egocentrica del mondo.

L’assumermi questa responsabilità poi mi ha aiutato ad acquisire maggiore coraggio e fiducia in me stesso che mi è servito anche nel lavoro che faccio: quando scrivi un racconto, disegni, in qualche modo ti metti a nudo, vai incontro a critiche. Ci vuole coraggio! Il sentire di far parte di una famiglia, di avere Sarvari, mi ha dato una forza che non pensavo di avere. Lei per me è stata fondamentale, è stata un motore che ha messo in moto moltissime cose.

A livello culturale e linguistico immagino sia stato sfidante e difficile all’inizio.

Il titolo del libro arriva proprio da questo: durante tutto il periodo indiano lei non ha mai parlato italiano. Non riuscivamo a capire come fare. Era proprio questa la zanzara nell’orecchio. Da quando siamo atterratə a Parigi, però, ha cominciato ad aprirsi, confrontarsi con noi, chiedendo, indicando le cose e apprendendo in un modo incredibile. Era una spugna, in pochissimo tempo ha appreso un vocabolario italiano vasto come quello delle sue coetanee. Così quella zanzara è andata via e abbiamo iniziato a chiacchierare in italiano e a capirci

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