
ACQUA BENE COMUNE E INDISPENSABILE COME SALVARLA?
“Assicurare l’accesso universale all’acqua da bere e ai servizi igienici attraverso un prezzo accessibile e una gestione efficiente e sostenibile”: così recita l’obiettivo 6 dell’Agenda ONU 2030 sottoscritta nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Oggi nel mondo, oltre 785 milioni di persone non hanno accesso ad acqua potabile. Un dato che stride con la meta che i Paesi del mondo devono raggiungere. L’acqua rimane un bene indispensabile per la quale non c’è un accesso uguale per tutti.
In vista delle ultime elezioni politiche, Slow Food Italia ha rivolto una domanda ai partiti candidati: “Come pensate di gestire acqua e suolo per una agricoltura sostenibile?”. Ne parliamo con Silvia Rolandi, giurista specializzata in International Trade and Food Law e componente Esecutivo Regionale Slow Food Toscana e Former Consigliere nazionale e internazionale Slow Food.
Avv. Rolandi, Slow Food ha posto una domanda ben precisa. Perché?
Alla fine del 2020 la Chicago Mercantile Exchange (CME) ha lanciato il primo "water futures market" chiamato Nasdaq Veles California Water Index Futures (i future sono contratti che permettono una facile negoziazione in borsa e sanciscono l’impegno ad acquistare, in futuro, a un prezzo prefissato nell’oggi, ndr). Il prezzo dell’acqua è stato quindi fissato con un indice che si basa sul prezzo nell’acqua in California, Stati Uniti.
Questo cosa comporta?
L’accesso all'acqua, quale bene comune, dovrebbe essere un diritto non acquistabile sullo stock market generando un diritto di prelazione da parte dei soggetti acquirenti. La svolta del dicembre 2020 comporta che nel momento in cui ci sarà un bisogno di approvvigionamento di acqua in futuro, i soggetti più forti sul mercato, che l’hanno già acquistata, riusciranno ad averla mentre i piccoli-medi produttori e agricoltori no.
Come arrivare a una agricoltura sostenibile, che sia un punto di forza nella lotta alla crisi climatica?
Un approccio che recentemente ha ritrovato vita, ma che trova le proprie radici nel passato, è quello della agroecologia. Il terreno non viene visto come un bene da sfruttare, ma utilizzando un approccio olistico, si pensa a un insieme di attività che svolte congiuntamente rispettano l'ambiente, la biodiversità e consentono una produzione alimentare sostenibile.
Cosa si intende esattamente per agroecologia?
È la scienza che prevede l’applicazione di categorie e princìpi dell’ecologia alla progettazione e alla gestione di sistemi alimentari sostenibili. Un approccio che andrà a sostituire l’attuale modello agricolo energivoro, grande avversario dell’agricoltura contadina.

PhD in Agricultural Law
International Trade and Food Law Lawyer, Food Quality and Regulatory specialist
Accanto alla produzione bisogna cambiare l’attività di consumo, cosa possiamo fare nel quotidiano?
Bisogna essere più consapevoli. La scelta dei prodotti non deve essere determinata solo dal prezzo ma anche dalle proprietà nutritive e dalle caratteristiche organolettiche. Quindi è importante sapere quanto un prodotto ha viaggiato e perché e che nessuno è stato sfruttato per quella produzione, oltre al fatto che tutelare l'ambiente è estremamente rilevante. È bene anche incentivare una produzione di scala minore, una spesa che prediliga l’acquisto dui prodotti stagionali e di prossimità. Sta all’UE, ai governi, alle famiglie adottare un approccio consapevole che si raggiungere attraverso l’educazione. C’è il grande tema dello spreco alimentare. Lo spreco parte nel momento della produzione relativo allo scarto di certe parti del prodotto che non corrispondono agli standard del mercato (è il caso della carota brutta, ma comunque buona). Lo spreco avviene poi dopo la produzione, quando si fanno porzioni troppo abbondanti o il frigorifero è troppo pieno.
Cosa si sarebbe potuto fare? Cosa possiamo fare oggi?
Il consumo di acqua, a livello industriale soprattutto, ma anche personale, andava e andrebbe regolato diversamente. Bisognerebbe in primo luogo agire a livello legislativo, e poi nei processi produttivi, di acquisto e consumo. Nel momento in cui si passa ad una agricoltura non intensiva, c’è una riduzione dello spreco, che diminuisce ancora di più quando si producono varietà di alimenti adatti al territorio. L’adattamento, la scelta delle varietà oppure le varietà che sono più adatte a un territorio sono lo strumento migliore. Certamente utilizzare talune varietà in territori a cui non appartengono non è consigliabile e in alcuni casi implica una spreco di acqua.
Oltre alla agroecologia, ci sono altre soluzioni alla crisi idrica?
Si, ed è Carlo Petrini, fondatore di Slow Food a illustrarle. Sicuramente è fondamentale indirizzare le risorse del PNRR verso un potenziamento del riutilizzo dell’acqua piovana (che ad oggi si attesta all’11%) e la ristrutturazione della rete idrica nazionale che registra perdite pari al 42% dell’acqua immessa. Per quanto riguarda il comparto agricolo – oltre ad utilizzare sistemi di adattamento delle coltivazioni al suolo – bisognerebbe sostituire l’irrigazione a pioggia con tecniche più mirate ed efficienti; dotarsi di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana e adottare pratiche circolari come il riutilizzo di acque reflue depurate.