ABILITÀ NELLA DISABILITÀ
Giampiero Griffo
La percezione assai diffusa nella società è che le persone con una limitazione funzionale abbiano meno capacità e competenze di persone che non sembrano avere quelle limitazioni. Addirittura alcuni economisti malthusiani americani hanno costruito il “paradosso della disabilità”: si sono stupiti che intervistando persone con diverse limitazioni funzionali esse si dichiarassero soddisfatte della loro vita.
L’approvazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) delle Nazioni Unite del 2006, ratificata dall’Italia nel 2009, ha abbandonato il modello medico/ individuale delle persone con disabilità, che attribuiva alla loro condizione psico-fisica la causa della loro esclusione, introducendo il modello sociale basato sul rispetto dei diritti umani. Infatti la definizione di disabilità contenuta nella CRPD introduce un nuovo paradigma: “la disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri”. Lo sguardo viene spostato dalle caratteristiche della persona al modo in cui la società tiene conto di quelle caratteristiche nella definizione di procedure, prodotti e servizi. Se pensiamo ad Oscar Pistorius che ha corso i 200 metri alle olimpiadi pur essendo amputato ad entrambe le gambe o a Stephen Hawking, uno dei più importanti cosmologi, che si muoveva in sedia a rotelle elettrica e comunicava attraverso lo screen di un computer, ci rendiamo conto quanto gli stigmi sociali negativi attribuiti alle limitazioni funzionali vadano superati. I concetti da utilizzare sono profondamente cambiati. Intanto la limitazione funzionale appartiene ad ogni essere umano: nessuno dei/lle lettori/trici di questo articolo può vantare di possedere il 100% delle performances di un corpo umano, in termini di prestazioni fisiche, intellettuali, relazionali, emotive. Anzi l’OMS ricorda che nell’arco di una vita tutti gli esseri umani vivranno condizioni di disabilità. Questa nuova impostazione ha una serie di conseguenze importanti. La valutazione delle skill di una persona non si basa sulle limitazioni del corpo, assegnando un disvalore a quello che è identificato come una minorazione, bensì sul modo di funzionamento delle persone. Infatti non si può ridurre una persona ad una minorazione, perché vengono cancellate le capacità (professionali, di reazione, etc.) e le potenzialità di adattamento che gli esseri umani sviluppano all’ennesima potenza. L’analisi del contesto fa emergere barriere, ostacoli e discriminazioni che l’ambiente fisico e sociale che la società ha costruito, scarica sulle persone che presentano determinate caratteristiche (ad es: trasporti ed edifici costruiti senza prendere in considerazioni persone cieche, sorde o che si muovono in sedia a rotelle).
Poi c’è la straordinaria crescita di ausilii che permettono di superare le limitazioni naturali. Strumenti che favoriscono la mobilità, software che permettono di leggere e scrivere ad una persona cieca, tecnologie che trasformano il linguaggio parlato in linguaggio scritto per persone sorde, protesi elettroniche per persone amputate, strumentazioni tecnologiche per comunicare, lavorare a distanza. Basti pensare come ognuno di noi è diventato/a post umano/a utilizzando computer, telefonini e come fra poco saremo inondati/e di prodotti governati dall’intelligenza artificiale. Ormai nel campo del lavoro si utilizza il collocamento mirato (serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione”, art. 2 legge 68/99); è previsto l’accomodamento ragionevole (le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali, legge, art. 2 della CRPD e art. 9 legge 99/2013), per adattare i luoghi e le postazioni di lavoro alle caratteristiche delle persone con disabilità.
Vi sono poi leggi che proteggono le persone con disabilità da discriminazioni e comportamenti molesti (legge 67/2006 e d.l. 216/2003), che condannano chi discrimina queste persone. Ancora, sono stati elaborati ulteriori strumenti che piuttosto che riabilitare le persone con disabilità a recuperare le funzionalità perdute (spesso obiettivo irrealizzabile), sostengono l’abilitazione di queste persone basandosi sul loro modo di funzionamento. Altri strumenti invece favoriscono un processo di superamento dell’impoverimento sociale che quelle persone hanno subito per sviluppare un empowerment appropriato che, rafforzando le loro skill sociali e comportamentali, favorendo l’autonomia, l’autodeterminazione, l’indipendenza e l’inter-indipendenza sociale (attraverso consulenti alla pari) permettono di costruire progetti di vita indipendente. Questo nuovo modo di valutare le capacità delle persone con disabilità è poi accompagnato dalle più ricche competenze professionali acquisite da queste persone: oggi sono 17.000 gli/le studenti universitari/e con disabilità, più 11.000 con DSA. Il combinato della valutazione del modo di funzionamento di una persona, di analisi dell’ambiente fisico e sociale dove deve vivere e svolgere attività, la conoscenza degli ausilii tecnici e tecnologici, l’utilizzo di processi di empowerment e abilitazione consentono alle persone con disabilità di partecipare alle attività sociali di tutti i tipi in condizioni di eguaglianza con gli/le altri/e cittadini/e. Basta saper valorizzare le loro skill.