9 DOMANDE A DORIANA DE BENEDICTIS

06 Apr 2022

EY Europe West D&I Leader

Com’eri quando eri più giovane? Come sei stata educata?

Sono cresciuta in Puglia, precisamente a S. Spirito, un bellissimo paese sul mare, in provincia di Bari. Sono nata in una famiglia semplice, modesta, con una gran cultura del lavoro, dell’amore e del rispetto reciproco. Sia mia madre che mio padre, entrambi impiegati, ma specialmente mio padre con una vena da inventore/progettista per passione, hanno sempre lavorato, cercando di non far mai mancare nulla, né a me né a mio fratello più piccolo. Ci hanno insegnato il senso del sacrificio, della dedizione e del rispetto dei valori. Ci hanno garantito una buona istruzione, trasferendoci la consapevolezza di essere entrambi in un patto di co-responsabilità, ovvero niente era regalato, ma tutto guadagnato, con impegno e costanza, nel rispetto dei tempi stabiliti. Caratterialmente sono sempre stata molto socievole, attenta al prossimo, visionaria e determinata. Fin da piccola avevo ben chiaro in mente cosa avrei voluto realizzare. Non so come, ma riuscivo a visualizzare in anticipo il risultato finale e a piccoli passi riuscivo a raggiungere la meta, dall’ottenere la parte da protagonista nella recita di fine anno di V elementare “Il gabbiano Jonathan Livingston”, alla realizzazione di progetti di vita, fino a creare sculture in pasta di zucchero partendo da zero.

Cosa hai studiato? Hai studiato nel tuo paese o anche all’estero?
Mi ha sempre appassionato la possibilità di comunicare con persone con culture e abitudini diverse dalla mia e, seppur nella mia famiglia nessuno parlasse lingue straniere, ho deciso di essere la prima a farlo, scegliendo proprio l’indirizzo Lingue e Letterature straniere, sia alle scuole superiori, che all’Università degli Studi di Bari, dove mi sono laureata nei tempi previsti, con 110 e lode. Per perfezionare la conoscenza delle lingue, ho soggiornato per medi periodi, prima in Scozia, poi in Inghilterra e infine in Spagna. Già mentre studiavo pensavo che mi sarebbe piaciuto lavorare in una multinazionale, perché lì avrei avuto la possibilità di nutrire la mia innata sete di conoscenza, di continuare a confrontarmi con persone di esperienza e culture diverse e soprattutto avrei potuto sviluppare il desiderio di lavorare nelle risorse umane.

Qual è stato il tuo primo ruolo e quali aspettative avevi quando hai iniziato?
Ho iniziato a lavorare subito dopo la laurea in IBM Italia, dove sono rimasta per 19 anni. Avevo desiderato fortemente entra- re a far parte della famiglia IBM, dopo aver letto la storia di Lou Gerstner e il suo “Who said an Elephant cannot dance?”. Mi affascinava l’idea di lavorare in un’azienda che negli anni aveva saputo evolversi e reinventarsi continuamente, antici- pando i grandi trend globali. La mia aspettativa era proprio quella di apprendere la capacità di evolvere, grazie alle competenze acquisite, pur restando fedele a me stessa e ai miei valori. L’ avventura è iniziata nella sede di Novedrate, dove mi sono occupata di formazione e sviluppo ed è proseguita nella sede di Milano e infine di Segrate, dove mi sono specializzata come Recruiter, Employer Branding Leader e negli ultimi 4 anni come Diversity&Inclusion Leader. IBM per me è stata una grande scuola, che mi ha portata ad acquisire la professionalità che mi ha permesso di entrare nel 2019 in EY e fondare la practice della Diversity&Inclusion in Italia, Spagna e Portogallo. Ed oggi a rivestire il ruolo di Diversity, Equity&Inclusion Leader della Region Europe West, che comprende 25 paesi.

Come hai visto cambiare la D&I negli ultimi 5 anni?

Ho visto la D&I evolvere dal 2005 ad oggi e posso dire che c’è ancora chi concepisce la D&I come 17 anni fa. Per spie- gare ciò che intendo faccio riferimento all’equivoco che c’è intorno a questo argomento, utilizzando le parole di Laura Liswood (Senior advisor di Goldman Sachs) che nel suo libro “The Laudest Duck” spiega che c’è chi pensa all’azienda, come se questa fosse l’arca di Noè, dove basta inserire una tipologia per ogni specie, per dire di essere attenti alla D&I. Eppure non c’è nulla di più sbagliato, perché se non si conoscono a fondo le caratteristiche delle diverse risorse di un’a- zienda, non è possibile dichiararsi inclusivi. Inoltre negli anni molte aziende hanno addirittura pensato di poter scegliere di dedicare tutte le proprie forze solo ad un tipo di diversità, come per esempio la “Gender Diversity”, dando per scontato che un tipo di diversità esclude l’altra e quindi esacerbando il concetto di diversità, a scapito dell’inclusione. La narrativa della D&I è molto ampia e va sempre intesa nella sua totalità per poterne sfruttare la potenza trasformativa.


"Lavorare su diversità, equità e inclusione significa prendersi cura delle persone e integrarne i principi fondanti in tutto ciò che fa l’azienda, dalle funzioni HR a quelle di business, risk management, comunicazione, fino al procurement. Bisogna affiancare le diverse aree e funzioni e creare alleanze, negoziare soluzioni possibili, studiare insieme nuovi processi".


Cosa rappresenta la diversità per te?

La diversità è ricchezza, è un arcobaleno di sfumature che ti permette di non smettere mai di imparare con e attraverso gli altri. La diversità è ciò che in natura permette l’evoluzione, la crescita, il cambiamento. Basta pensare all’intero ecosistema, che brulica di vita perché mai uguale a se stesso. La diversità rappresenta l’opportunità di innovare, di creare ciò che da soli non si riesce neanche ad immaginare.

Quali sono i principali impegni della tua organizzazione?

In EY ci impegniamo ogni giorno nel creare un ambiente di lavoro basato sul rispetto, sul riconoscimento delle caratteristiche di tutte le persone che ci lavorano e quindi accogliente e inclusivo. Lo facciamo imparando ad ampliare le nostre prospettive, acquisendo consapevolezza sui diversi temi della D&I, conoscenza dell’intersezionalità delle diversità e cercando di integrare i principi della D&I in tutto quello che facciamo, sia all’interno, che all’esterno dell’azienda.

Perché la Diversità è una leva strategica per la crescita sostenibile?
Lavorare sulla Diversity, Equity&Inclusion significa prendersi cura delle persone e contribuire dunque alla sostenibilità sociale dell’intero paese. Attraverso i progetti sviluppati all’interno dell’azienda si può avere un potente impatto sociale, basti pensare ai progetti sull’immigrazione o a quelli sull’impiego di persone con disabilità o alla formazione delle donne vittime di violenza, che non hanno fiducia nel proprio valore e potenziale.

Quali questioni devono essere risolte oggi e quali cambiamenti positivi porta il prossimo futuro? Come vorresti implementare il cambiamento?
Per lavorare concretamente sulla Diveristy, Equity&Inclusion è importante integrare i principi fondanti dell’inclusione in tutto ciò che fa un’azienda, dalle funzioni HR (Recuitment, Learning&Development, Employee relations, Reward, Employer Branding ed Employee Experience) a quelle di business, risk management, comunicazione, fino al procurement. Bisogna affiancare le diverse aree e funzioni e creare alleanze, negoziare soluzioni possibili, studiare insieme nuovi processi. Solo così si potrà parlare di consistenza della D&I e non un “nice to have”.

Come definisci un luogo di lavoro inclusivo?

Come ho spiegato prima, un ambiente di lavoro è inclusivo, se basato sul rispetto, sul riconoscimento delle caratteristiche di tutte le persone che ci lavorano e se ogni processo e funzione (non solo quella HR) riflette i principi fondanti della D&I.

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