#4WEEKS 4INCLUSION - La rivoluzione culturale passa dalle aziende

22 Mar 2021

Federica De Felici

C’era una volta la Inclusion Week, una settimana all’anno dedicata all’inclusione e alla valorizzazione delle diversità, organizzata in TIM dai suoi dipendenti – o meglio – dai suoi Cittadini. Una forma di partecipazione dal basso che propone e organizza momenti in cui i Cittadini si riuniscono e affrontano i temi dell’inclusione. Risorse, nel vero senso della parola, con una vocazione: condividere per i colleghi. In altre parole, far emergere i bisogni di tutti rendendo le persone protagoniste della loro partecipazione alla vita aziendale evitando di interpretarne dall’alto le necessità. “E se la Inclusion Week diventasse un evento italiano, di tutte le aziende?” - questa è stata la sfida che Andrea Laudadio, responsabile di Tim Academy & Development in ambito Risorse Umane, ha lanciato ai suoi collaboratori - “Che risonanza si avrebbe sulle politiche di Diversity & Inclusion a livello Paese se tante aziende unissero le loro forze per renderlo un evento di portata nazionale?”

E così la macchina è partita e la Inclusion week è cresciuta diventando 4Weeks4Inclusion. Una corsa contro il tempo, un impegno virtuoso che ha portato a un risultato straordinario: venticinque aziende unite per la prima volta nel nome dell’Inclusione. A firmare l’inizio di questa rivoluzione culturale nella sua prima edizione – in ordine alfabetico – sono state: Accenture, Agos, Banca Ifis, BIP, BNL BNP Paribas, Danone, Donne leader in sanità, Flash Fiber, Ferrovie dello Stato Italiane, Google, Gruppo HERA, HR Services*, INWIT, Olivetti, Parks - Liberi e uguali, Poste Italiane, Schneider Electric, SNAM, Sparkle, Telecontact Center, Telsy, TIM, TIM Brasil, TIM Retail, Valore D. Grazie a questa collaborazione è stato organizzato per la prima volta un calendario condiviso di eventi che hanno toccato moltissimi aspetti dell’inclusione e della valorizzazione delle diversità: dal gender gap alla disabilità, dall’età all’orientamento sessuale,  dall’etnia alla religione. Quattro settimane, dal 13 novembre all’11 dicembre 2020, oltre diecimila persone registrate, oltre centosessanta ospiti, un calendario di circa settanta eventi digitali: webinar, spesso con interpretariato LIS- Linguaggio dei segni e in contemporanea tra Italia e Brasile, digital labs e Inclusion-thon. Un maxi evento interaziendale dove, per esempio, un dipendente di Google ha potuto assistere a un evento di Sparkle, all’interno dell’orario lavorativo.

Ad aprire la 4W4I è stata l’allora Ministra per le Pari Opportunità e per la Famiglia Elena Bonetti con il presidente di Tim Salvatore Rossi. L’incontro si è basato sull’importanza di confrontarsi sulle tematiche legate alle politiche di Diversity&Inclusion e cosa si può ancora fare all’interno delle aziende per migliorare. “Bisogna partire dalle unicità per costruire una rete sociale produttiva.”, queste le parole della Bonetti, che ha poi continuato: “Oggi possiamo scegliere il modello che sappia accogliere l’umanità. Non perché è semplicemente giusto, ma perché conviene. Perché solo una società che ha il volto dell’unicità sa mettere tutti nelle condizioni di liberare le proprie potenzialità al servizio di un processo collettivo.”

Esiste una relazione profonda e positiva tra inclusione e performance aziendale ed è noto che le aziende che adottano un approccio per rendere i loro ambienti di lavoro inclusivi hanno migliori risultati. In TIM abbiamo anche constatato, tramite alcuni strumenti come la Engagement Survey e ricerche sperimentali realizzate con l’Università La Sapienza, che le persone che si sentono maggiormente incluse e quelle che hanno la maggior capacità di includere gli altri, sono le stesse che mettono in campo le migliori performance. E poiché siamo aziende che producono o offrono beni e servizi è necessario anche rivolgere lo sguardo all’esterno dell’azienda e porsi come osservatori del mercato: chi sono i fruitori? Cosa vogliono? Di cosa hanno bisogno? Come si potrebbe inventare qualcosa o anticipare un’esigenza senza considerare la diversità? I fruitori, il pubblico, i clienti sono una comunità composta da persone “diverse” per genere, sesso, etnia, religione, età, condizioni fisiche, mentali ecc., e in quanto tali sarebbe impensabile immaginare una forza lavoro che non li rispecchi. La diversità e l’inclusione non sono elementi “altri” o “esterni” che si intersecano forzatamente nei vissuti individuali delle persone ma ne fanno già parte e le aziende non possono che valorizzare il Capitale Umano in quanto ricchezza inestimabile. Il migliore esempio di coesistenza della biodiversità ce lo dà la natura: un cipresso è elegante e maestoso nella sua unicità e non si pensa a quanto sia alto, lo si ammira e basta. Altrettanto affascinanti sono il mandorlo o l’ulivo, ognuno con i suoi frutti, ognuno con i suoi tempi. La pretesa dell’omologazione è qualcosa di non spontaneo che, infatti, non esiste in natura, tanto per le piante quanto per le persone. La valorizzazione delle diversità è invece la strategia vincente. Parlare di “diversità”, non significa affrontare un concetto astratto ma una realtà concreta che fa da sempre parte del nostro mondo. Realtà che per la maggior parte del tempo viene vissuta in azienda, in presenza o in digitale.

4W4I si è conclusa con una tavola rotonda composta dai responsabili di Human Resources di molte delle aziende coinvolte: un tavolo di confronto con professionalità di rilievo del panorama italiano in cui si è provato a rispondere a quesiti come, per esempio, in che modo le aziende possano essere motore di sviluppo della cultura dell’inclusione nella società.  Pensare in modo differente, arginare strategie obsolete, guardare oltre. Il potere di un’azienda sta nella sua visione, nel cercare soluzioni nuove, diverse da quelle adottate fino a un dato momento; nella capacità di destrutturarsi per ripartire senza mai adagiarsi su una strategia consolidata ma provando sempre a migliorarsi. Perché gli scenari cambiano, il mondo e le sue persone evolvono. E ciò che era accettabile ieri non lo sarà domani. Solo quando non ci sarà più bisogno di parlare di politiche D&I potremo guardare ai passi fatti e avere l’ardire di affermare che si era agito bene. 

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