10 domande a IVAN SCALFAROTTO
Valentina Dolciotti
Ivan Scalfarotto, classe 1965, ha una risata avvolgente e modi garbati. L’agitazione che sento, ora che ho la possibilità di intervistare una persona così preparata e al contempo nota, va via via scemando grazie, soprattutto, al suo modo genuino e accogliente di dialogare con me. Ivan Scalfarotto (cognome veneziano, sì, ma che discende da una famiglia errante: il nonno - caduto della Grande Guerra - era nato ad Alessandria d’Egitto, la famiglia materna è invece napoletana) è nato a Pescara, ma già all’età di tre anni si trasferisce in Puglia con la famiglia. Trascorre lì tutti gli anni della sua formazione, creando legami stabili con il territorio – al punto che la sezione AGedO di Foggia è oggi intitolata al papà, Gabriele Scalfarotto -.
Dopo la laurea in Giurisprudenza lavora in importanti istituti bancari e, nel 2002 lascia l’Italia per trasferirsi prima a Londra, poi a Mosca, come dirigente in ambito HR di Citi - banca del gruppo multinazionale newyorkese Citigroup. L’impegno civico di Ivan Scalfarotto è di lunga data: fondatore del Movimento Adottiamo la Costituzione (2001), tra i fondatori dell’Associazione di cultura politica Libertà e Giustizia (2003) e, nel 2010, fondatore dell’Associazione per imprese Parks - Liberi e Uguali.
Quando, nel 2013, viene eletto deputato alla Camera - per evitare possibili conflitti d’interesse - lascia la direzione esecutiva di Parks, rimanendone presidente onorario. Oggi, nel nostro Parlamento, su 945 parlamentari solo tre uomini sono dichiaratamente omosessuali e una delle tematiche centrali delle “battaglie” dell’on. Scalfarotto è certamente quella per i diritti della comunità LGBT+ ed è proprio su questo argomento che, oggi, focalizzeremo la nostra conversazione. Nel 2015 e nel 2016 Ivan Scalfarotto compare, come unico italiano, nella Global Diversity List - Top 50 diversity figures in public life Global DiversityList dell'Economist, elenco delle cinquanta persone che hanno maggiormente contribuito, nella loro funzione pubblica, al progresso e al riconoscimento dei diritti della diversità.
V: A tal proposito, nel 2010, in un libro edito da Piemme, elencavi dieci questioni cruciali sulle quali era necessario intervenire immediatamente. A distanza di undici anni vorrei provare a fare il punto, insieme a te, su ciascuna di esse.
Estendere la possibilità di sposarsi a tutti i cittadini
I: Tecnicamente la risposta è “no”: non c’è ancora un matrimonio che sia uguale per tutte e per tutti. Però sono state istituite le unioni civili, nel 2016, e questo è di certo un enorme passo avanti perché per la prima volta si sono riconosciute le coppie omosessuali come famiglie a tutti gli effetti, soggetti di diritti e di doveri reciproci e verso la comunità. Non si possono più verificare le situazioni vergognose, che accadevano prima di quella data, quando venivano esclusi dalle visite in ospedale, dall’eredità o dal nucleo famigliare i compagni e le compagne di una vita. Eppure, per arrivare al matrimonio ugualitario e alla piena equiparazione, anche formale, tra coppie sposate etero e omosessuali manca da percorrere ancora un pezzo di strada.
Riconoscere per legge le prerogative dei conviventi
I: La Legge 76/2016 prevede anche norme per i conviventi etero e gay, creando quindi un regime che prevede la possibilità di un’unione ufficiale (il matrimonio per le coppie etero e l’unione civile per le coppie gay) o della disciplina di una convivenze (e in questo caso la disciplina è identica per le due situazioni). Speriamo appunto di superare queste differenze e che un giorno, finalmente, si possa avere una piena equiparazione per tutte le coppie, qualsiasi sia la forma di unione che scelgano per la loro vita.
Approvare una legge sull’omo genitorialità
I: No, non è stata ancora approvata ed è una mancanza enorme. Nei tribunali si moltiplicano i casi di famiglie che chiedono tutele ai giudici, si continua insomma a procedere per sentenze singole che, però, danno una copertura episodica ed erratica al problema. La cosa più triste è che, ostinandoci a non concedere un diritto (o meglio, di riconoscere dei doveri) agli adulti, facciamo che a pagare lo scotto di questa discriminazione siano i piccoli. Si scaricano le responsabilità su bambini e bambine che già esistono, che sono tra noi, che non hanno alcuna “colpa” e, con la scusa di proteggere il il bisogno astratto “di avere una mamma e un papà”, neghiamo il diritto concreto di bambini esistenti a vedersi riconoscere la propria famiglia e la protezione delle due figure che riconoscono come genitori.
Estendere la legge Mancino all’omofobia e alla transfobia
I: Che rabbia: già sette anni fa avremmo potuto avere questa legge. E invece, a oggi, ciò che abbiamo sono sette anni in più di violenze, aggressioni, pestaggi, esclusioni, prese in giro in assenza di una legge. Ora la proposta di Legge “Zan” (che ha come oggetto le misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità. N.d.r.) è ferma in Senato, che è il vero scoglio di ogni legge. L’errore, il fraintendimento in cui molti cadono, è il retro pensiero che, questa legge, possa limitare la libertà d’opinione dei cittadini. Eppure la libertà d’opinione non è stata certo minata quando, nel 1993, è stato decretata l’aggiunta di aggravanti razziali, etniche e religiose agli atti di discriminazione e violenza, no? La norma penale è l’estrema ratio a un comportamento – appunto - estremo qualora necessiti di essere stroncato. Quello che veramente rileva è il messaggio educativo, pedagogico che una simile legge può dare: quello che la nostra comunità nazionale ripudia ogni forma di odio e di discriminazione, incluse quelle contro le persone con disabilità e contro le donne.
(L’Italia, secondo l’indice “Trans Murder Monitoring” di Transrespect versus Transphobia Worldwide, è il primo paese d’Europa per numero di vittime di transfobia. N.d.r.)
Sradicare il bullismo dalle scuole
I: Anche qui la strada da percorrere è ancora lunga, non è mai troppo presto per parlare di inclusione e di diversità. Io parto dal presupposto che a qualsiasi età si può comprendere un messaggio educativo basato sull’inclusione e, insieme ai discenti, sarebbe fondamentale formare a riguardo educatori, insegnanti, dirigenti, personale ATA che quotidianamente si relaziona con bambini e bambine. Anche su questo il disegno di legge all’esame del Parlamento include norme molto interessanti, come l’ufficializzazione del 17 maggio come giornata mondiale contro l’omofobia e la transfobia e l’educazione alla diversità per gli studenti.
Riassegnare i dati anagrafici alle persone transgender senza necessità di intervento chirurgico
I: Innanzitutto: il diritto al cambiamento di sesso fa parte dei diritti inviolabili della persona e su questo l’Italia ha poter una volta una posizione di avanguardia: infatti da trent’anni in Italia abbiamo una legge che consente alle persone transessuali di modificare i propri dati all’anagrafe. Solo dal 2015, tuttavia, e sempre grazie a decisioni non del Parlamento ma della magistratura, non è più necessario che la richiesta del cambio anagrafico sia accompagnata tassativamente da una trasformazione fisica (cioè l’intervento chirurgico, che demolisce - totalmente o parzialmente - i caratteri sessuali anatomici primari), non è più un prerequisito obbligatorio per rettificare il proprio nome e il proprio genere sulla carta d’identità, ma resta un possibile ulteriore mezzo funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico della persona.
Sviluppare una cultura contro le discriminazioni sui luoghi di lavoro
I: In questo specifico ambito il lavoro svolto da “Parks - Liberi e Uguali”, l’associazione tra imprese che ho fondato e che si occupa di offrire pari opportunità e inclusione alle persone LGBT+ sui luoghi di lavoro, continua a essere importantissimo. Ormai sono più di settanta le aziende associate che hanno messo nome, faccia e impegno per includere e tutelare i diritti delle persone Lgbt+ nei luoghi di lavoro. Al di là del ruolo di Parks, il mondo delle Organizzazioni si sta chiaramente muovendo, finalmente, per massimizzare il potenziale delle proprie persone.
Inserire un numero minimo di donne nei C.d.A. delle aziende quotate in Borsa
I: Anche questo obiettivo, attraverso la legge 120/2011, meglio conosciuta come “Golfo-Mosca”, dal nome delle due deputate – Lella Golfo (PdL) e Alessia Mosca (PD) – che ne sono state le promotrici, è stato un grandissimo passo avanti per ottenere una pari rappresentanza di genere e un’equa distribuzione del potere decisionale all’interno delle più grandi aziende, pubbliche, partecipate e quotate in Borsa. La legge è recentemente stata rinnovata (perché era un’azione positiva e in quanto tale con scadenza. N.d.r.) e, senza dubbio alcuno, sta accelerando e supportando un indispensabile cambiamento culturale e organizzativo che, lasciando fare al corso naturale delle cose, sarebbe arrivato tra più di cent’anni.
Riservare ai padri un periodo di astensione esclusiva dal lavoro
I: Per quanto concerne questo obiettivo (che, a leggere bene tra le righe, più che un obiettivo è uno strumento che mira a un obiettivo ben più grande. N.d.r.) c’è invece ancora parecchia strada da fare, poiché – nonostante qualche miglioramento legislativo e il fatto che molte grandi aziende abbiamo aumentato i giorni di congedo destinati ai neo padri, grazie a policies interne particolarmente innovative e inclusive – il Paese (nelle organizzazioni, nelle PMI e in moltissime famiglie) non ha ancora fatto il vero e profondo cambiamento di cui necessitiamo. È ormai improrogabile che sia il lavoro di cura sia le carriere professionali abbiamo egual peso e importanza nella vita di uomini e donne. A tal proposito lancio una proposta: i cinque mesi di astensione obbligatoria dal lavoro, che sono riservati solo alle madri, andrebbero secondo me suddivisi in due parti uguali che dovrebbero essere usufruiti in via esclusiva dall’uno e dall’altro coniuge: due mesi e mezzo per uno.
Riaffermare la laicità dello Stato con norme che ribadiscano la sua neutralità rispetto a tutte le religioni
I: Questa è una davvero nota dolente, perché richiede – forse più di ogni altro punto qui discusso – necessariamente di fare spazio agli altri e non tutti sono disposti a farlo. Lo Stato è laico perché la nostra società è plurale e tutti devono i sentirsi a casa nella Repubblica: tutti coloro che hanno una fede, qualsiasi essa sia, e anche coloro che non ce l’hanno. Si può essere fedeli a una religione ma chi governa deve sempre ricordarsi che lo fa per tutti, si giura sulla Costituzione, non su uno dei libri sacri. Oggi più che mai è indispensabile distinguere tra morale religiosa e diritto, se vogliamo procedere e migliorare invece che tornare indietro.