A cura della Redazione

Nel travestimento  e nel rovesciamento dei generi, le contraddizioni diventano visibili: un disequilibrio costante dove si rincorrono forza e fragilità, melodramma e commedia, ironia ed emozione, le grandi dive e le “scappate di casa”. Era il dicembre del 2007 quando Fabio Chiesa, giovane e brillante attore, propose (quasi per gioco) ad alcuni amici una performance teatrale un po’ insolita, a chiusura del festival organizzato dalla Compagnia ATIR. ATIR, infatti, da quel momento avrebbe preso in gestione il Teatro Ringhiera di Milano (magico luogo d’inclusione che meriterebbe un racconto a sé). Fabio suggerì un esperimento teatrale: uno spettacolo di drag queen, mai realizzato prima. Drag queen è, a scanso di equivoci, il termine inglese usato per definire tutti quegli attori che si esibiscono in canti, imitazioni, cabaret e balli indossando trucco e abiti femminili. (Le donne che, viceversa, recitano in abiti maschili sono dette drag king). Insieme a Fabio, quella sera, c’erano Gianluca Di Lauro, Lorenzo Piccolo, Ulisse Romanò.

L’esperimento andò molto bene, bene al punto che gli amici decisero di continuare a sperimentare sulla medesima strada, arricchendo piano piano il repertorio, approfondendo metodologie, mescolando presente e passato, in un conglomerato tipico del teatro di rivista, che unisce contributi musicali, di danza e recitazione in una presentazione unica. E, nonostante la prematura e tragica scomparsa del loro fondatore Fabio, le Nina’s continuarono il proprio percorso, diventando una vera e propria compagnia teatrale indipendente, unita dalla voglia di esplorare, ricercare, divertirsi e divertire. Nel corso di questi dodici anni di lavoro hanno portato in scena rivisitazioni di grandi classici quali Queen Lear, Il giardino delle ciliegie, DragPennyOpera, Vedi alla voce Alma. Parallelamente alla produzione di spettacoli teatrali, ad appena due anni dalla fondazione della Compagnia, è nato un laboratorio teatrale (era il 2009) aperto a tutt*, dedicato all’ideazione e alla creazione individuale di un personaggio Drag Queen (o Faux Queen, laddove il partecipante sia una partecipante) ove la femminilità viene esplorata e esasperata in tutte le sue forme, in quanto possibilità espressiva.

Il laboratorio è un luogo fertile, accogliente e inclusivo, aperto a chiunque abbia voglia di mettersi in discussione, divertirsi, indagarsi, esplorare ed esaltare un mondo “iper femminino”. Perché il divertimento, in realtà, è una cosa seria. Lo leggo negli occhi di Ulisse e Gianluca mentre mi raccontano la storia della Compagnia con leggerezza e serietà insieme. E anche se, come ci insegnano le Nina’s, una drag indossa sempre una maschera e per definizione è acida, solitaria, newyorkese e guarda il mondo da dodici centimetri sopra gli altri, l’immaginario che crea attorno a sé tocca corde profonde e non sempre consce nel pubblico che, numeroso, assiste alle rappresentazioni e che non raramente ne esce emozionato, turbato, commosso. Sul corpo di una Drag Queen viaggiano storie, e noi vogliamo raccontarle.

Mauro Danesi

Il romanzo “Orlando” di Virginia Woolf (1928) è “la più lunga e affascinante lettera d’amore della letteratura”. Scritto da Woolf e dedicato all’amica e amante Vita Sackville-West, Orlando è un libro filosofico e rivoluzionario dove la pluralità umana è descritta con leggerezza, gli stereotipi di genere e le abitudini sono smascherate con eleganza.

Come nasce il progetto Orlando

Nell’autunno 2013 scegliemmo di dare nome Orlando al progetto che stavamo costruendo: Martina Fiorellino (Lab 80 film, cooperativa di cultura cinematografica storica, con sede a Bergamo) ed io, lavoravamo a una rassegna tematica di cinema, teatro, incontri che desse spazio alle rappresentazioni di identità di genere e orientamenti sessuali. Avevamo un forte desiderio e molti dubbi: desiderio di dare visibilità, attraverso prodotti artistici, all’orizzonte – ampio – di possibilità di relazioni e di identità umane e sociali, ma anche molti dubbi rispetto alla risposta che avremmo avuto dalla città. Quella prima edizione, nata in punta di piedi, ci regalò un’inaspettata consapevolezza: il desiderio era condiviso da molte più persone di quante potessimo immaginare. Come nel romanzo di Virginia Woolf, il “nostro” Orlando cominciò una corsa attraverso tempo e metamorfosi continue: edizione dopo edizione il progetto ha affrontato temi complessi e spesso scomodi, con ironia e intensità; ha aumentato numero e tipologia di prodotti culturali, ha esteso la rete di collaborazioni a livello locale, nazionale, internazionale.

Partito come una rassegna di tre giorni, oggi è un ampio progetto che ha fulcro in un Festival di una settimana che raccoglie e accoglie proiezioni cinematografiche, spettacoli di teatro e danza, laboratori, mostre, incontri disseminati in diversi luoghi della città. La settimana di Festival è preceduta da attività formative durante tutto l’anno, indirizzate ad ogni fascia d’età (dall’infanzia fino all’età adulta), che si tengono in scuole, biblioteche, ludoteche, centri culturali, università. L’organizzazione stessa del progetto è divenuta “plurale”: accanto a Lab 80 oggi esiste un’associazione di promozione sociale, denominata “Immaginare Orlando”, vero e proprio laboratorio di costruzione condivisa, che rende la progettazione un lavoro di squadra, a più teste e corpi.

Non sono certo mancate le difficoltà. Affrontare la complessità dell’educazione alle differenze ci ha fatto incappare in porte chiuse e diffidenze, ma come Moravia risponde a Pasolini, nel film “Comizi d’amore”: “Penso che bisogna sempre cercare di capire, le cose che si capiscono non scandalizzano”.

Di grande supporto sono sempre stati i Festival partner, le realtà che in Italia storicamente supportano la “cultura queer”. Uno fra tutti Gender Bender, Festival Internazionale con sede a Bologna, che insegna e racconta come parlare di differenze di genere non sia importante esclusivamente per la comunità LGBT o per una minoranza, ma bensì rappresenti un punto di vista privilegiato per osservare la realtà e conquistare maggiore libertà per tutti i cittadini e le cittadine.

Orlando 2018 - l’anno del coraggio

Il 2018 è il quinto anno di Festival. Molto è cambiato, anche nella società che ci circonda e avvolge, e molto può ancora cambiare: movimenti populisti mettono in discussione libertà e diritti acquisiti, e lottare per una società giusta non è certo moda del passato, ma dovere di tutti e tutte.Anche per questo, abbiamo deciso di dedicare la prossima edizione al tema del coraggio. Non il coraggio appariscente o costruito, ma il coraggio poco visibile, tenace, costante e resiliente, caratterizzante l’agire della cultura: il coraggio di ri-conoscere tabù e resistenze; di essere portatori di nuovi immaginari e narrazioni; di rinunciare a etichette e affrontare desideri; di continuare a osare, affrontare temi complessi con delicatezza, ironia, attenzione. Contemporaneamente dedichiamo questa edizione del festival alla mancanza di coraggio, poiché anche nella fragilità sta la rivoluzione, e la forza non risiede nell’assenza di paure. Bensì nello sforzo di affrontarle. Come ha scritto Paul B. Preciado: “Io rivendico, oggi, la leggendaria mancanza di coraggio di Virginia Woolf e di Klaus Mann, di Audre Lorde e di Adrienne Rich, di Angela Davis e di Fred Moten, di Kathy Acker e di Annie Sprinkle, di June Jordan e di Pedro Lemebel, di Eve K. Sedgwick e di Gregg Bordowitz, di Guillaume Dustan e di Amelia Baggs, di Judith Butler e di Dean Spade”.

Continuiamo ad essere convinti e convinte che proporre modelli differenti rispetto allo standard non minacci chi in quei modelli si trova bene. Così come ampliare diritti e possibilità non limita diritti e possibilità preesistenti. Al di là delle diffidenze, sentiamo forte il bisogno di allargare le gabbie delle identità e degli orientamenti sessuali: ciò che culturalmente e socialmente significa essere donna e uomo, ciò che “si può o non si può fare”, chi amare e chi no. In queste stesse gabbie molti e molte di noi stanno stretti, e desiderano trovare una propria via. Un respiro più ampio.

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