Vedo. Riconosco. Valorizzo: sono le tre parole-chiave alla base delle politiche in ambito Diversity & Inclusion del Gruppo Hera, una delle maggiori multiutility italiane operante nei servizi ambientali, idrici ed energetici, che ha appena ricevuto, per il quattordicesimo anno consecutivo, la certificazione Top Employer per i risultati raggiunti nell’ambito delle politiche lavorative.

Tre parole che tracciano i principi alla base della cultura aziendale e mettono in luce il tema profondo dell’identità, quella stessa identità che rende uniche le persone e che non può essere rinchiusa in strette maglie o categorie.

Ma cosa significano?

“Vedo la realtà e gli altri, al di là degli stereotipi che mi rendono miope”. “Riconosco le specificità e mi metto nei panni di chi ha caratteristiche e stile di pensiero diversi dal mio”. “Valorizzo i tratti distintivi di ciascuno ed elimino le barriere che possono essere fonte di esclusione”.

Per il Gruppo Hera vuol dire mettersi in ascolto e trasformare le diversità in un valore condiviso, comprendere il punto di vista dell’altro, favorendone l’inclusione, anche a partire dal linguaggio che scegliamo di usare e che dà forma al pensiero e a ciò che ci circonda. Perché le parole hanno un’incredibile forza: possono confortare o discriminare e in questa direzione, la multiutility - fra le tante iniziative interne all’azienda - ha proposto un’attenta riflessione sull’importanza della comunicazione inclusiva, nella quale ognuno possa sentirsi rappresentato e valorizzato. È quanto accaduto, per esempio, con il recente aggiornamento del Codice Etico aziendale nel quale, a 16 anni dalla sua prima introduzione, la parola “persona con la sua originaria e assoluta dignità” ha preso il posto del termine dipendente, per indicare lavoratori e lavoratrici nella loro interezza, in una dimensione che sappia coglierne l’identità come un valore al quale fare riferimento all’interno dei rapporti e della vita aziendale.

Si parte da un principio per reinterpretare tutti i processi del Gruppo, dal modello di leadership alla misurazione delle performance del management, fino all’individuazione dei talenti e alla selezione. Viene meno il concetto di ideale unico a cui tendere, a favore della valorizzazione delle eccellenze individuali e del contributo distintivo che ogni persona può apportare al risultato collettivo.

Quello sul valore dell’identità è un impegno che per la multiutility si traduce in modo trasversale nel portare avanti politiche e strategie inclusive che rendono protagonista la popolazione aziendale. Hextra ne è un esempio: il sistema integrato di welfare aziendale, introdotto nel 2016, è frutto dell’ascolto dei dipendenti, per meglio comprendere i bisogni e incrementare il loro benessere fisico, economico, familiare e psicologico. Su quest’ultimo tema, proprio a cavallo della pandemia, è stata intensificata la capacità di dialogo e supporto a lavoratori e lavoratrici con iniziative e attività dedicate: dai webinar agli incontri con psicologi e psicoterapeuti, passando per percorsi di supporto alla genitorialità e per la promozione di un equilibrio psico-fisico ed emozionale. Perché garantire dignità e identità sul posto di lavoro genera valore, ancor di più se parliamo di persone fragili, per le quali il Gruppo Hera ha messo a disposizione “Return to Work”: un percorso della durata di dodici settimane, diviso in più fasi e in collaborazione con psicologici, nutrizionisti, medici ed esperti di yoga e mindfulness, con l’obiettivo di promuovere stili di vita sani e coltivare l’equilibrio psico-fisico ed emozionale.

Il percorso intrapreso dal Gruppo Hera verso la direzione dell’inclusività e del benessere personale raccoglie costantemente riscontri positivi e i progetti vanno nella direzione di un cambiamento culturale sempre più distante da stereotipi e pregiudizi.

Ed è così, passo dopo passo, azione dopo azione, che la multiutility, attenta nel praticare politiche che riguardano l’uguaglianza di genere e la valorizzazione delle diversità nel luogo di lavoro, è ormai da tempo ai vertici del “Diversity & Inclusion Index” di Refinitiv (che analizza le performance delle società sulla base di molteplici fattori ESG e rappresenta uno dei riferimenti principali per gli investitori che guardano con favore alle realtà che adottano una politica orientata alla D&I) e, per il quarto anno consecutivo, anche nel Bloomberg Gender-Equality Index 2023, che valuta le prestazioni delle aziende impegnate nel sostenere l’uguaglianza di genere, attraverso lo sviluppo di politiche attive dedicate e la trasparenza nella divulgazione delle informazioni.

In Hera l’ascolto delle persone, delle esigenze e delle diversità, continua. La strada è ancora lunga e complessa, ma è necessario percorrerla per diventare portatori di un vero cambiamento sociale.

La casa è l’ambiente in cui possiamo essere noi stessi, un prolungamento della nostra identità. Questo è ciò che emerge dal Report “Life at Home” che IKEA realizza dal 2014 e che racconta la continua evoluzione dell’idea di casa attraverso le testimonianze, le abitudini e i punti di vista di persone da tutto il mondo. IKEA riserva per le proprie persone, i co-worker, la stessa cura dell’unicità attraverso la visione “IKEA Talent Approach”, secondo cui ciascuno è un talento. Ne parliamo con Sara Carollo, Co-worker Experience Manager di IKEA Italia.

Cosa significa “Identità” per IKEA?

IKEA nasce nel sud della Svezia dalla visione, a mio avviso moderna e geniale, del fondatore Ingvar Kamprad. Nell’identità di IKEA confluiscono la cultura della campagna svedese e i valori legati alla semplicità e alla natura. Tale identità si è sviluppata nel tempo. IKEA oggi continua ad avere l’ambizione di creare una vita quotidiana migliore per tutti. Questa mission si concretizza da 80 anni in competenza e passione nel contribuire a creare il posto più importante al mondo, il luogo in cui ci sentiamo protetti, accolti, in cui possiamo esprimere la nostra diversità e unicità: la casa. Tali principi sono nel DNA dell’azienda fin dal principio.

Come IKEA valorizza l’identità delle persone, clienti e dipendenti?

Attraverso l’unicità di ciascuno. È questo il pilastro della nostra People Strategy con cui invitiamo i nostri e le nostre dipendenti a portare se stessi al lavoro e quindi vivere liberamente il proprio orientamento sessuale, l’identità di genere, la propria religione, cultura. Coltiviamo un ambiente di lavoro in cui la persona è riconosciuta come unica e facciamo in modo che l’unicità trovi uno spazio di espressione. Lo stesso vale per il cliente che deve sentirsi accolto all’interno dei nostri ambienti, dallo store fisico al sito internet. Deve sentirsi a casa.

L’identità di una grande realtà come IKEA è la somma di tutte le unicità che la compongono. Come trovano modo di esprimersi i talenti di ciascuno?

In IKEA crediamo che ciascuno è un talento – non a caso “Everybody is a talent” è uno dei nostri motti chiave - secondo una visione che chiamiamo “IKEA Talent Approach”. Siamo convinti che il talento si possa esprimere in molti modi e, per raggiungere i nostri obiettivi, di aver bisogno di abilità e personalità diverse fra loro. Per questo motivo il Gruppo IKEA ha creato la “Talent Focus Week”, un evento globale dedicato alla celebrazione di tutti i 163.000 talenti che lavorano in IKEA. Nel corso di questa settimana vengono organizzati workshop interattivi, conferenze e tavole rotonde tra colleghi e colleghe di diverse funzioni. I/le partecipanti hanno modo di conoscere sé stessi, i colleghi e le colleghe e tutto ciò che IKEA, come azienda, ha da offrire. Come la possibilità di candidarsi per posizioni lavorative a livello global, di intraprendere un percorso di carriera verticale e di avere uno spazio di confronto continuo.

Sara Carollo
Co-worker Experience Manager IKEA Italia

Come la sua identità professionale e personale si è evoluta attraverso la sua crescita all’interno di IKEA Italia?

Quest’anno festeggio vent’anni di carriera in IKEA. La mia identità è strettamente legata a quella dell’azienda per cui lavoro da così tanto tempo. Non potrebbe essere diversamente. Quando sono stata assunta mi identificavo nei valori dell’organizzazione, ma non avevo la stessa sensibilità che possiedo oggi verso le tematiche di diversità, inclusione, sostenibilità. Sono cresciuta negli anni grazie alle esperienze professionali e personali che mi hanno consentito di incontrare culture e visioni diverse. Sono diventata ambasciatrice di nuovi valori che perseguo nella vita quotidiana, nei rapporti con i familiari, amici, colleghi, nelle scelte che faccio.

Da tempo IKEA ha intrapreso un importante lavoro relativo alla gender equality. Quali sono i risultati di questo impegno?

Il percorso di IKEA nel raggiungimento della parità di genere è iniziato nel momento della nascita dell’azienda. E questo è uno degli obiettivi elencati da Ingvar Kamprad ne “Il Testamento di un Commerciante di Mobili” del 1976. Oggi raccogliamo i risultati di tutto quello che è stato fatto nel tempo: in IKEA Italia il 47% dei leader in posizione manageriali sono donne; il 57% della popolazione di IKEA Italia è formata da donne, il gender pay gap è prossimo allo zero. Tutto questo si ottiene valorizzando la gender equality in fase di recruitment, di development, nei processi di sviluppo delle competenze e di compensation. Inoltre, la cultura svolge un ruolo fondamentale: IKEA Italia è tra i fondatori di Valore D, da cui abbiamo ereditato “Me4Women”, un programma di mentorship della leadership al femminile che è molto apprezzato dalle nostre co-worker.

Un ultimo progetto di cui siete particolarmente orgogliosi?

Siamo molto orgogliosi del percorso che stiamo facendo, quest’anno, sul tema dei pregiudizi inconsci. In tutti i negozi e tutte le unità di IKEA Italia, leader e manager stanno avendo la possibilità di partecipare ad un workshop di 4 ore chiamato DECIDE che affronta il tema dei pregiudizi inconsci con la prospettiva delle neuroscienze. Un grande investimento informativo che coinvolgerà oltre 500 leader e manager e siamo sicuri avrà un impatto molto positivo sul nostro processo decisionali.

Spesso si crede che la pausa sia un momento estraneo alla musica. La verità è un’altra: la pausa è musica, un respiro essenziale per l’esecuzione di un brano. “Proprio come negli spartiti, anche nella vita le pause sono importantissime – spiega Ilaria Caccamo, head of sales di Indeed Italia –. Si tratta di momenti dedicati alla crescita e allo sviluppo personale che i recruiter devono saper riconoscere, non stigmatizzare”. Questa visione, che Indeed porta avanti quale sito numero uno al mondo per chi cerca e offre lavoro, è un sintomo positivo del cambiamento in corso nel mondo del lavoro, che coinvolge dipendenti e aziende.

Ilaria, come sono cambiate le identità di dipendenti e aziende? C’è consapevolezza di tale cambiamento?

Il cambiamento parte dalla consapevolezza dei dipendenti. In Indeed abbiamo coniato l’espressione “great realization”, esemplificativa della realtà attuale, che ricalca “great resignation” (fenomeno caratterizzato dal progressivo aumento del numero di dimissioni dei lavoratori dal proprio impiego, ndr). Dopo la pandemia le persone hanno capito che non possono più rinunciare all’equilibrio vita-lavoro e al sentirsi in linea con i valori dell’azienda per cui lavorano. Per cui hanno iniziato a ricercare nelle aziende caratteristiche nuove, focalizzandosi non più soltanto sulla mansione, ma anche sui benefici offerti e sulla cultura aziendale. Anche la consapevolezza delle aziende cresce ogni giorno. È diventato molto più difficile assumere: c’è una guerra per accaparrarsi i migliori talenti. Quindi le organizzazioni hanno bisogno di essere attraenti per i propri dipendenti – dando maggiore importanza al benessere delle persone - e di rinnovare la propria identità, al fine di rafforzare la talent attraction e di rendere i dipendenti i primi veri testimonial dei valori aziendali. I vecchi sistemi di ricerca del personale non sono più idonei a raggiungere gli obiettivi di hiring in un clima molto più competitivo e complesso.

L’inclusione parte dal reclutamento dei talenti. Quali pratiche di hiring inclusivo consigliate ai vostri clienti? Perché è importante metterle in atto?

Oltre a condividere l’attenzione ai temi D&I, le aziende devono mettere in atto azioni concrete. Per ottenere un processo di recruitment più inclusivo, è importante ridurre gli elementi soggettivi che possono influenzare gli intervistatori – che, come tutti gli esseri umani, sono soggetti a stereotipi e a pregiudizi a volte inconsci – sostituendoli con elementi oggettivi, come test attitudinali, skill assessment, domande che simulano lo scenario di lavoro e permettono di valutare le reali competenze di una persona. In questo modo si riesce a valutare il potenziale dell’individuo e non solo il curriculum. Inoltre, molti dei criteri su cui i recruiter basavano il proprio lavoro sono ormai superati. Ad esempio, nei passati decenni erano valutati negativamente i periodi di congedo dal lavoro.

Ma ciò che veniva percepito come una mancanza, oggi deve essere riconosciuto in maniera differente. Molto spesso, si tratta del momento della maternità o di una pausa dalla carriera per prendersi cura di una persona fragile, ruolo che notoriamente ricade soprattutto in capo alle donne. Tali momenti in realtà sono frangenti di vita dedicati alla crescita e allo sviluppo personale e, pertanto, vanno riconosciuti.

Come Indeed valorizza le identità delle proprie persone? Quali sono le iniziative che avete progettato in ambito D&I?

Molte sono le iniziative, alcune dedicate alla cultura interna, altre al miglioramento del mercato del lavoro. In Indeed abbiamo istituito dei gruppi di lavoro che affrontano temi per noi fondamentali, come la genitorialità, la leadership femminile, l’accessibilità. L’obiettivo è ridurre del 50% il tempo necessario per assumere qualcuno entro il 2030, aiutando trenta milioni di persone ad entrare nel mondo del lavoro. Tali mete sono la nostra stella polare: tutto ciò che facciamo è svolto in funzione di quanto appena detto e progettato con una mentalità volta al cambiamento della situazione attuale. Una delle questioni per cui ci stiamo battendo, soprattutto in Italia, è il gender pay gap. Suggeriamo alle aziende di pubblicare i salari negli annunci, per aiutare le persone a superare il problema delle retribuzioni di partenza. La trasparenza salariale è il primo passo per abbattere la disparità. Non solo, le aziende che inseriscono il salario nell’offerta ricevono il 30% in più di candidature. È un beneficio per tutti.

Alla luce di quanto detto, quali sono gli elementi che oggi rendono efficacie l’employer branding?

Innanzitutto, è necessario garantire una cultura aziendale sana. La cura per i propri dipendenti, la possibilità di offrire benefit e percorsi di carriera sono il primo passo. Quando l’azienda riesce ad instaurare una cultura valoriale forte, allora ha qualcosa di concreto da comunicare all’esterno. Qui entra in gioco l’employer branding (la capacità di un’impresa di diventare un’azienda ricercata come valido datore di lavoro, un vero e proprio brand, ndr). Non esiste brand senza comunicazione. Oggi hanno sempre più peso le testimonianze dei dipendenti, che lasciano review su siti e piattaforme, come Glassdoor, motore di ricerca del lavoro che fa parte del gruppo Indeed.

Quanto e come i valori di unicità, diversità e inclusione hanno influito sulla sua lunga carriera?

L’esperienza lavorativa che ha influito maggiormente è stata quella nel sud-est asiatico. Ho lavorato a Singapore, Tokyo e Sidney, gestendo dipendenti con attitudini lavorative e culture diverse provenienti da Singapore, India, Giappone, Malesia, Cina, Korea, nazioni in cui la comunicazione e i modi di parlare di business sono diversi. In quell’occasione sono uscita dalla mia zona di comfort, ho messo in discussione tutto ciò che sapevo fare. Ho capito che dovevo pormi in maniera nuova. Sono diventata molto più predisposta all’ascolto, a non fare sempre domande dirette – tipiche del modello di business occidentale – a lasciare tempo per prepararsi ed essere confidenti. Ho imparato a mettere in evidenza le unicità delle persone e delle loro culture, riscontrando una verità: la diversità arricchisce e porta innovazione.

Non riconoscersi in una realtà è un problema. Un ambiente che incoraggia l’inclusione e la diversità, che ci fa dire: “appartengo a quel posto, lì vedo opportunità per me, mi riconosco in quelle persone e in quei valori”, è la prima condizione per desiderare di far parte di un gruppo di persone e di un’Organizzazione.

Qual è il contributo che una realtà come Janssen Italia, l’azienda farmaceutica del Gruppo Johnson & Johnson, può dare a questa valorizzazione dell’identità e quindi, in una prospettiva più ampia, avere un impatto positivo sulla società e comunità di cui fa parte?

Diversità, Equità e Inclusione (DE&I) rappresentano i valori con cui tutti i collaboratori vivono e lavorano quotidianamente, con i quali costruire una cultura che accoglie e valorizza l’unicità di punti di vista, background, formazione ed esperienze. Solo in un contesto ricco di persone, storie e approcci differenti possono nascere l’innovazione e la creatività. In Janssen Italia crediamo sia fondamentale partire dalla relazione con le persone e da un dialogo aperto con tutti i componenti dell’ecosistema salute, a partire dai propri collaboratori, per attivare un ascolto capace di migliorare costantemente la nostra azienda e il nostro modo di operare.

Il valore delle persone è in cima alla scala delle priorità a tutti i livelli e viene perseguito anche tramite le iniziative delle ERG (Employee Resource Group), gruppi volontari di colleghi che condividono interessi, stili di vita ed esperienze. Uno spazio aperto e sicuro di confronto e sviluppo personale e professionale.

Promuoviamo politiche di diversity, parità di genere e leadership al femminile, dedicando grande attenzione al benessere e alla salute dei collaboratori attraverso una filosofia di supporto alla persona che va da iniziative mirate al sostegno in particolari momenti della loro vita - come, ad esempio, la gravidanza - a programmi educativi sui corretti stili di vita e la prevenzione.

L’approccio al welfare dell’azienda è finalizzato ad abbracciare, supportare e valorizzare la diversità, creando un ambiente capace di assicurare a tutti il rispetto e la possibilità di realizzare il proprio potenziale di crescita professionale.

Valorizzare le differenti identità significa essere incubatori di innovazione. Raccogliamo e includiamo la diversità di pensiero, di prospettiva, di età, di provenienza e da questa diversità cerchiamo di far emergere nuove idee, nuovi approcci, nuove prospettive. Per cui ogni persona, con le sue caratteristiche e con la sua unicità, porta valore aggiunto all’azienda.

Le identità sono i talenti che devono essere coltivati e fatti crescere nella comunità in cui operiamo. Per questo il nostro impegno oltre ai nostri collaboratori si rivolge ai giovani studenti italiani: crediamo che debbano essere i primi a credere nella propria identità, nella costruzione del proprio talento, nella crescita personale e lavorativa senza ostacoli e pregiudizi.

Questo impegno ha preso la forma di un progetto, Fattore J, che rappresenta un percorso formativo promosso insieme a Fondazione Mondo Digitale per raggiungere le nuove generazioni in collaborazione con gli istituti scolastici italiani e con una fitta rete di associazioni pazienti e società scientifiche: l’obiettivo principale è quello di diffondere una crescente consapevolezza sul valore dell’investimento in salute e sui grandi progressi della ricerca e avvicinare a questi temi i futuri talenti della scienza di domani. Attraverso laboratori, sessioni interattive, momenti di confronto con la partecipazione delle associazioni pazienti, siamo portavoce di messaggi sull’importanza della scienza e dei progressi scientifici per un futuro più sano e migliore.

Crediamo che portando agli studenti questa nuova consapevolezza possiamo abbattere pregiudizi di genere verso il mondo della scienza, stimolare in loro curiosità e interesse verso la ricerca ed empatia verso chi è diverso da noi perché malato. Basti pensare che abbiamo coinvolto nel progetto ad oggi oltre 200.000 giovani, il 60% dei quali sono studentesse.

Una responsabilità sociale che si riassume nella nostra missione, un obiettivo ambizioso verso un futuro in cui le malattie possano essere un ricordo del passato.

La scienza compirà tra 10 anni più progressi di quanti ne ha fatti negli ultimi 100: per questo come azienda farmaceutica valorizziamo le nostre persone con supporti e programmi di Welfare al passo con i tempi e le esigenze dello scenario che viviamo, investiamo nel Paese con la nostra ricerca e innovazione collaborando con le istituzioni e partner di eccellenza, guardiamo alle nuove generazioni con progetti e messaggi di fiducia e agiamo con rispetto nella comunità in cui operiamo, osservando il Nostro Credo, nato oltre 75 anni fa e incentrato sul rispetto dell’individuo, sia esso dipendente dell’azienda, paziente, medico, cliente, fornitore o azionista.

Per sentire, capire la musica, l’ho dovuta sempre prima leggere e poi ascoltare. È una contraddizione enorme, per me che adoro la musica. Per riprendermi tutto ciò che la sordità mi toglie, devo prima conoscere i testi, indagare i commenti e i significati. Solo così, una canzone diventa parte di me. “Come together” dei Beatles, ad esempio, offre una sequenza di batteria tra le più complesse da realizzare. Un’emozione unica, intima, tamburellare con le dita mentre la canzone va…

Mi chiamo Daniele Regolo, ho 50 anni e sono Brand Ambassador Diversity & Inclusion presso Seltis Hub. Quando avevo circa due anni i miei genitori hanno scoperto che ero un bambino sordo, probabilmente sin dalla nascita. Ricordo ancora tutti gironzolare intorno a me. Otorinolaringoiatri, logopedisti, insegnanti di sostegno e i miei genitori, ovviamente.

È inutile dire che nascere negli anni ‘70 con una sordità pre-linguale ha avuto un impatto fortissimo sulla mia esistenza (e lo ha ancora adesso, dopo tanto tempo). Allora, l’essere sordi era prima di tutto e soprattutto un problema. Una montagna gigantesca da scalare e non una condizione da accettare e da rielaborare. La visione generale della sordità era “medico-centrica” al punto che anche alcuni strumenti di inclusione, come l’insegnante di sostegno a scuola, poteva diventare una situazione boomerang che sottolineava la distanza tra me e i miei compagni invece che annullarla.

Ma come in ogni storia, anche nella mia c’è stato un punto di svolta. A venticinque anni ho conosciuto Renato Pigliacampo, psicologo non udente e autore di libri scientifici. Mi fece leggere “Vedere Voci” di Oliver Sacks, libro che mi ha cambiato nel profondo. Grazie a quell’incontro iniziai a fare pace con l’essere sordo: la mia disabilità non era più un ostacolo, ma una condizione che avrebbe richiesto un continuo percorso di ridefinizione del me. Da questa consapevolezza è nata la decisione di occuparmi ogni giorno di D&I, nel lavoro e nella vita.

Da quel momento ho continuato a chiedermi: chi sono io? La risposta si è moltiplicata, come se ci fossero tanti me stratificati. Sono un lavoratore, una persona con disabilità, un padre, un velista (per me andare in mare è un atto di fede, non lo sport domenicale).

Sono anche la mia voce. Arrivato a sentire pochissimo, nel 2018 mi sono sottoposto all’intervento di impianto cocleare: un cambiamento radicale. Sono passato dal non udire quasi più nulla a sentire ogni sfumatura di suono. Ho scoperto sonorità che non conoscevo soprattutto quelle medio acute. Non sapevo che in “Come together” la chitarra alla fine fosse accompagnata da una irresistibile sonorità di piatti.

Mi ci sono voluti diversi mesi per abituarmi al nuovo me. Ora non mangio più le parole quando parlo, posso conversare con alcune accortezze anche al telefono e ascoltare la musica in un modo diverso, più completo. Le parole dei Doors, dei Beatles, dei Pink Floyd fanno parte di me - già, perché la disabilità mi ha fatto sperimentare molteplici identità. Chi l’avrebbe mai detto!

In questo percorso rivedo con indulgenza alcune esternazioni che mi ferivano: “Ma tu non sei un vero sordo! Parli…”. Mi sono reso conto che la consapevolezza sui bisogni delle persone sorde è ancora molto scarsa da parte della società. Ma conoscere è importante per includere. Ad esempio, molti non sanno che la parola sordomuto è da abolire dal vocabolario. Si tratta infatti di un termine obsoleto, che, in base all’articolo 1 della Legge 20 Febbraio 2006, n. 95 è stato cancellato e sostituito dal termine Sordo in tutte le dispositive vigenti (L.95/2006).

Non solo, tra i sordi esistono due comunità con punti di vista a volte differenti: quelli a favore della lingua dei segni e quelli a favore della lingua orale. Una diatriba antica come il mondo. Il “Congresso Internazionale per il miglioramento della sorte dei Sordomuti”, tenutosi a Milano nel 1880 fu una data storica che segnò il destino di tutti i sordi del futuro perché venne approvata una risoluzione che esaltava la lingua orale e bandiva la lingua dei segni. Di fatto la lingua segnica continuò a “tramandarsi” di nascosto, fino ad oggi. Martha’s Vineyard, un’ isola del Massachusetts, negli USA, è famosa perché nel corso dell’Ottocento circa lo 0,7% della popolazione era sorda, una percentuale di circa venti volte superiore la media nazionale dell’ epoca. La condizione era così diffusa che moltissimi abitanti conoscevano la lingua dei segni e la usavano regolarmente anche fra persone udenti.

La contrapposizione tra chi è a favore e chi contro la lingua dei segni è ancora in atto nella comunità dei sordi. Per questo è importante informarsi e conoscere ogni sfaccettatura di questa dimensione, perché nessuna persona sorda è uguale all’altra e ciascuno richiede degli ausili o “accomodamenti ragionevoli” precisi. È anche per questo che in Seltis Hub, ogni volta che si organizza un evento - che sia aziendale o aperto al pubblico, online o in presenza - utilizziamo un approccio intelligente all’organizzazione. Si individuano le esigenze dei partecipanti prevedendo la sottotitolazione di ogni intervento e l’attività di interpreti LIS. Siamo in grado di avere un rapporto diretto con le persone, chiediamo loro di indicarci la modalità che preferiscono. Perché inclusione è anche intelligenza, personalizzazione, strategia, umanità ed equilibrio.

Via Fratelli Gracchi, 36, Cinisello Balsamo, Milano. Sono le 6.30 del mattino e Am’Hamd Hafi è già di fronte all’ingresso di Sodexo. Ci tiene tantissimo ad essere puntuale al lavoro, per questo arriva sempre con qualche minuto di anticipo. Difatti è lui che tutti i giorni dà il via alla giornata delle 250 persone che lì lavorano. Lo fa rigorosamente in divisa e sempre con il sorriso, perché a lui piace lavorare, e farlo al meglio. Ora Hafi – si fa chiamare per cognome perché è più facile da ricordare – lavora qui da 5 anni a tempo indeterminato. La sua storia inizia molto tempo fa, nel 1987, quando lascia il Marocco. “Ora l’Italia è la mia casa, io sono italiano, anche i miei tre figli – un maschio e due gemelle – lo sono”. In quarant’anni lontano dall’Africa ha fatto i più disparati mestieri. Autista, giardiniere, operaio, fino a quando, a sessant’anni e senza lavoro, si è rivolto ad A&I Cooperativa Sociale Onlus, con la quale Sodexo collabora da tanto tempo. Così è nato l’incontro. Doveva essere un tirocinio temporaneo, ma l’impegno, la serietà e la tenacia hanno cambiato il corso degli eventi: ora è parte integrante dell’azienda. Quando lo racconta si commuove ancora: “Ero talmente emozionato da essere rimasto pietrificato alla notizia. Sono felice di questa opportunità”.

Ogni giorno Hafi porta un pezzetto della sua identità in Sodexo, azienda che conta 422.000 dipendenti, presente in 53 Paesi. Solo nella sede in provincia di Milano operano 86 persone di diversa nazionalità.

Nell’edificio dall’altra parte della strada, dove si trova la mensa interaziendale di Sodexo, incontro un’altra storia di multiculturalità. Sono le 7 del mattino e Aurora Greca sta iniziando a scaldare i fornelli. Lei è un mix unico da cui è sfociato un amore infinito per la cucina. Papà greco, mamma albanese. A 14 anni arriva in Italia. Ha iniziato a lavorare vent’anni fa in Sodexo come addetta mensa, oggi è cuoca di terzo livello. Alla festa di Natale le è stato conferito un riconoscimento speciale. “Questo lavoro per me è dignità, sono nata per fare questo – dice con soddisfazione –. E sono orgogliosa, da donna, del mio percorso in un ambiente che è prettamente maschile”. E aggiunge: “Io mi sento italiana, anche grazie a questo lavoro ho potuto raggiungere la soddisfazione più grande: costruire delle relazioni importanti in una terra che ora percepisco come mia”.

Poco dopo il momento della pausa caffè, nella palazzina B, conosco Amanda Dal Cortivo, architetta brasiliana dell’area Kitchen Design, e Carine Toutain, dell’area BIGS, francese ma in Italia da più di ventisei anni.

Amanda è innamorata di Milano. “Dopo essermi laureata in Brasile, sono venuta in questa città perché è la capitale del design – spiega –. Mi ha colpito sin da subito il fatto che qui, diversamente dal Brasile, non esisteva la declinazione al femminile della parola “architetto” e si tratta di un settore dove la presenza maschile è maggioritaria, soprattutto nei cantieri”. “In questo ufficio invece siamo tre architette – dice con il sorriso –. Qui mi sento libera di esprimere chi sono, rivendico con forza le mie origini. Sono contenta quando i/le collegh* riconoscono la mia solarità”.

Carine lavora nello stesso ufficio di Amanda, ma per un’area di business diversa. “Ho lasciato la Francia quando avevo 18 anni, non è stato facile all’inizio tessere delle relazioni all’università, c’era un pregiudizio soprattutto nei confronti delle ragazze straniere”, racconta. “Ho studiato beni culturali, ma il destino mi ha portato in Sodexo, in cui lavoro da 26 anni. Qui ho avuto sempre l’opportunità di fare nuove esperienze che hanno portato al riconoscimento del mio ruolo al di là di ogni pregiudizio”.

Ore 13.00, è l’ora della pausa pranzo. Lungo la strada della mensa mi imbatto in Alexis Lerouge, direttore marketing del settore aziende, da trent’anni in Italia, e Veronique Tassigny, della sede parigina, a Milano per un breve periodo. “Sono via dalla Francia da talmente tanti anni che ora non mi identifico più in essa – spiega Alexis –, ma il fatto di essere francese mi ha aperto alla multiculturalità in un periodo in cui in Italia questa era ancora un miraggio”. “Quando ho iniziato in Sodexo ero più preparato di altr* - continua –. Quando ti trovi a lavorare in Spagna, in Turchia, in Slovenia, acquisisci la capacità di tollerare e l’intelligenza, fondamentale, di informarsi sulle culture delle persone con cui stai operando”. “Esatto – aggiunge Veronique –. Con questo lavoro ho imparato che inclusione è saper ascoltare gli altri per comprendere le diverse abitudini”.

Nelle parole di Veronique è sintetizzata l’attenzione di Sodexo – alla quale UNHCR ha conferito il premio “Welcome. Working for refugee integration” per tre anni consecutivi - all’identità culturale delle persone dentro e fuori l’azienda, valorizzate attraverso diverse iniziative. Come “Global Chef”, un programma di avvicinamento alle culture internazionali per i clienti Sodexo che permette loro di godere di un’esperienza del tutto originale, gustando pietanze autentiche e vivendo atmosfere internazionali, di altri paesi e culture.

Come il webinar organizzato con AIDP - Associazione Italiana per la Direzione del Personale per favorire l’inserimento lavorativo di migranti e rifugiati e promuovere un ambiente di lavoro eterogeneo ed inclusivo; i corsi di italiano per stranieri avviati nel 2009 e che continuano tutt’ora; il KIDS DAY 2018 in cui si è parlato di inclusione attraverso dei laboratori di cucina etnica in collaborazione con A&I Onlus, Cuochi a Colori Milano e #Mamafood.

Silvia Soannini interviews her colleague Alex Henderson, Senior Vice President at State Street, Head of EMEA Transfer Agency Operations, about how far the financial sector, and State Street in particular, have come in helping employees to bring their whole selves to work.

Do you believe that the banking/financial sector is inclusive of diversity? Was it inclusive towards you?

There’s been significant progress. Aside from the fact that providing inclusive environments is the right thing to do, there is a greater understanding of the fact that a diverse workforce drives innovation and creativity, and enhances our ability to serve our clients’ diversifying needs. This is an evolution, the momentum is there, and we can all still be actively making a positive difference in this space.

Personally, in my earlier career, I have experienced comments about how I tick a number diversity boxes with the insinuation it has fast-tracked my career – I was a young, female in a leadership role, without a university degree, and married to a woman. This used to affect my confidence – you do wonder if you’ve been considered for something because you represent a minority group. Today, I’m confident that I am in my position due to performance alone.

How would you define identity? Is it relevant in the workplace?

Personal identity is who you are, and self-identity is how you perceive or define yourself. We find greater alignment between our self-identity and personal identity, and in my opinion happiness, in places that are open, accepting and inclusive – where you can be you. Identity is a very relevant topic that should drive dialogue about everyone bringing their whole selves to work and thriving. Having to compromise or hide who you are can be damaging, and all businesses have a duty of care to their people, so identity needs to be a leading topic of conversation.

How can international groups and companies be more inclusive of all employees’ identities and increase their sense of belonging?

International organisations must consider how they build awareness, provide access to education, nurture dialogue, and train and promote Human Leadership. They must be vocally, consciously and actively aware of their people’s diverse needs so they can support their physical and psychological safety. At State Street, the Employee Experience, which focuses strongly on Inclusion, Diversity & Equity, is a foundational pillar of our organisational strategies. The focus our organisation has on this topic is working. Prior to joining in August 2021, I was interviewing at another company. The roles were not dissimilar and I chose State Street purely due to the people I met through the interview journey and the way they made me feel.

What do you think prevents some LGBT people – particularly women – from freely expressing their ‘difference’, even in an inclusive environment that protects and encourages freedom of expression?

Firstly, not all societies or cultures are the same – it is often difficult and sometimes illegal for people in the LGBT community to be transparent. I worked in Malaysia for 8 years and the company I worked for had a very inclusive culture. I could not be open or freely discuss my personal life, because of the laws in Malaysia. Over time, people discovered that I was married to a woman; I didn’t talk about it, but I didn’t actively hide it, either. That created an open door for a few colleagues in the office to be open and discuss their personal challenges with me.

I have also seen people in the LGBT community suffer from low confidence because of negative experiences with family, their social environment, their culture, and the law. Even in the most inclusive environments, it can be challenging for people to trust the inclusivity if they have had prior negative experience and that is why it is important we can all foster an environment of belonging – and build that trust!

What projects and policies has State Street adopted that deserve to be talked about?

Inclusion and diversity are embedded in our culture, values and behaviours.

We prioritise making sure that every employee feels they are represented, embraced and celebrated, and our global force of leaders represents the diverse markets we serve. We are very proud of the inclusive and safe environment we have created at State Street.

We empower our employees through employee networks, which play a critical role in creating an inclusive culture. Our Pride Employee Networks promote events and programmes that highlight challenges for LGBTQ communities across the globe. They include the Better Banter campaign, which highlights the impact of non-inclusive language in the workplace, and a reverse-mentoring programme that involved LBGTQ role models working to make the workplace safer for LGBTQ colleagues, women and minorities. In 2022 our Poland Pride Network hosted an event where our LGBTQ role models shared their coming out stories. This was an incredibly powerful and emotional event that reinforced how far we have come.

Entrando in azienda siamo accolti da un messaggio: “Takeda esiste per offrire una salute migliore per le persone e un futuro più luminoso per il mondo”. La priorità indicata è quella di mettere i pazienti al primo posto, per garantire loro la migliore qualità della vita. Una sfida sociale che le persone Takeda condividono con impegno ed entusiasmo.

Le persone sono la chiave del successo e questo si raggiunge solo tramite la collaborazione per obiettivi comuni: valori che, ogni giorno, ispirano e guidano il nostro lavoro. In Takeda ci impegniamo per creare un ambiente di lavoro che stimoli ciascuno a dare il proprio contributo nel modo migliore, che sia sicuro, confortevole, inclusivo. Qui ognuno può crescere come individuo, realizzando così il proprio potenziale.

Molte le iniziative, i programmi, i gruppi di lavoro attivi in azienda per ascoltare le esigenze di tutti e consentire di non lasciare indietro nessuno. Lavoriamo continuamente per ricercare modelli operativi efficaci ed efficienti e definire insieme nuovi percorsi.

È su queste basi che nel 2021 abbiamo istituito un ERG – Employee Resources Group – con rappresentanti di tutte le aree aziendali diversi per genere, seniority e background, al fine di portare e valutare insieme le iniziative più disparate e incoraggiare una cultura del lavoro sempre più aperta.

L’idea di fondo in Takeda è quella di liberare il potere della diversità promuovendo una cultura dove l’inclusione è concepita non come un’iniziativa isolata ma come parte integrante dei valori aziendali. Per ottenere ciò, è essenziale garantire che ogni singolo elemento si senta coinvolto e abbia la possibilità di contribuire all’interno dell’organizzazione in prima persona.

È così che è nata l’idea delle Quality Conversation, un momento in cui i membri dei team possono comunicare con trasparenza, chiarezza e libertà, delineando le proprie esigenze di miglioramento e crescita, stimolando in questo modo la fiducia reciproca e consentendo a Takeda di evolvere.

Un’altra iniziativa di cui andiamo molto fieri è l’Exceptional People Experience, un vero e proprio viaggio in cui è coinvolta tutta l’azienda basato su quattro pilastri: diversity equity & inclusion, life long learning, agility-continuous process improvement e wellbeing. Questo modello si propone di fornire strumenti innovativi declinati per garantire la migliore esperienza di lavoro.

La diversità è quindi parte integrante della cultura aziendale, e Takeda si contraddistingue, con orgoglio, rispetto alle pari opportunità e alla diversità di genere: vantiamo un equilibrio di genere nella totalità della popolazione aziendale con un 47% di popolazione femminile tra Leaders e Managers e il 52% di donne in R&D.

Io, così come Annarita Egidi, la nostra General Manager, ho sottoscritto il “Manifesto per un maggiore equilibrio di genere in Sanità”, redatto dall’Associazione “LEADS Donne Leader in Sanità”, per favorire il superamento delle disuguaglianze di genere e promuovere la presenza paritaria delle donne nelle posizioni di vertice delle organizzazioni pubbliche e private operanti nella Sanità, e faccio parte del Comitato Scientifico dell’Osservatorio creato da LEADS insieme a LUISS Business School per supportare questo percorso con dati sulla situazione italiana.

Ma DE&I non è solo parità di genere, e il nostro impegno è rivolto anche su molti altri fronti. È così che abbiamo deciso di associarci a Parks - Liberi Uguali e a Valore D per avere nuovi spunti, anche dal confronto con altre aziende, e rendere il nostro ambiente di lavoro sempre più inclusivo e rispettoso.

Il nostro impegno ha avuto un riscontro molto positivo tra i dipendenti e siamo e orgogliosi che sia stato riconosciuto anche all’esterno: quest’anno, per il terzo anno consecutivo, Takeda Italia è Top Employer ed è stata certificata per la prima volta Caring Company, riconoscimento promosso da Lifeed destinato alle aziende che investono in leadership generativa e nelle proprie persone.

Non possiamo che essere fieri del percorso intrapreso ma è nel prossimo futuro che contiamo di fare ulteriori passi avanti. Siamo al lavoro per individuare nuove sfide, come l’implementazione del programma Caregiver interno che permette alle nostre persone, grazie al supporto di una società esterna di consulenza, di condividere la propria esperienza mettendo a fattor comune competenze e capacità, e lavorare per il congedo di paternità, perché, quando parliamo di uguaglianza, deve essere garantita su tutti i fronti.

Il nostro contributo “con le mani nella terra”

di Maria Anastasia Chieruzzi,

Sky Responsible Business

In Sky crediamo da sempre nell’impatto positivo che le nostre attività possono avere sulle comunità che ci ospitano e sui territori in cui operiamo. Siamo convinti che un business migliore contribuisca a creare un futuro migliore. Per questo ci impegniamo a lavorare in modo responsabile, con l’ambizione di raggiungere i più elevati standard di sostenibilità, e usiamo la nostra voce per ispirare le persone a fare la differenza, contribuendo a promuovere il cambiamento.

Si tratta di una responsabilità che va oltre il business, e che ci spinge ad essere in prima linea nell’affrontare le problematiche del nostro Pianeta. Nel 2006 siamo stati la prima media company al mondo a diventare carbon neutral e dal 2017 ci siamo impegnati nella salvaguardia degli oceani con la campagna Sky Ocean Rescue, diventando testimoni del problema della plastica nei nostri mari.

Oggi con la campagna Sky Zero, lanciata nel 2020 per sostenere e promuovere il contrasto all’emergenza climatica, ci stiamo spingendo oltre, riducendo entro il 2030 di almeno il 50% le emissioni generate su tutta la nostra linea di business, piantando alberi, mangrovie e altre specie vegetali marine per compensare il resto delle emissioni che per ora non si è in grado di eliminare, dando l’esempio e ponendoci obiettivi ambiziosi per promuovere il cambiamento.


La tutela dell’ambiente non
è il solo pillar su cui poggia
la strategia di sostenibilità di
Sky. Il gruppo Sky si è infatti
recentemente impegnato a
contrastare il divario digitale e a
sviluppare le competenze digitali
di 250 mila persone attraverso
lo stanziamento di un fondo
da 10 milioni di sterline contro
l’esclusione digitale.

Oggi più che mai la salvaguardia dell’ambiente e la valorizzazione del territorio richiedono il contributo di tutti. Per questo lavoriamo sempre per dar vita a progetti in grado di generare valore sociale e un impatto positivo.

Grazie a collaborazioni con diverse organizzazioni no profit locali, ci impegniamo a dare il nostro contributo lavorando al loro fianco, aiutandole nello svolgimento di attività pratiche e partecipando attivamente alla vita delle comunità.

Proprio attraverso il progetto di volontariato aziendale Sky Cares, che offre alle persone Sky l’opportunità di impegnarsi nel sociale, vogliamo dare un contributo concreto alle comunità del territorio.

Non appena è stato possibile riprendere le attività in pre- senza, si è svolta la nostra prima grande attività di volontariato aziendale legata alla salvaguardia dell’ambiente e alla riduzione delle emissioni di CO2, in collaborazione con AzzeroCO2, per ripopolare di alberi Parco Porto di Mare e Casa Chiaravalle a Milano.

Nell’ambito di Mosaico Verde, la campagna nazionale ideata e promossa da AzzeroCO2 e Legambiente, con il patrocinio delle più importanti Istituzioni e Associazioni nazionali, abbiamo realizzato un progetto di forestazione per 1000 alberi in prossimità della nostra sede milanese. Protagonisti dell’attività 100 persone di Sky che si sono occupate personalmente della messa a dimora delle prime piante.

L’iniziativa è parte del progetto «ForestaMi» e vuole a dare un contributo alla riqualificazione di due zone della città, già al centro delle attività di intervento di Italia Nostra e il suo Centro Forestazione Urbana: parco Porto di Mare, a Rogoredo, e Casa Chiaravalle, la più grande area in Lombardia requisita alla criminalità organizzata.

Partecipare attivamente a iniziative come questa, nel rispetto dei criteri di biodiversità e tutela del paesaggio, ci permette di essere parte attiva del cambiamento e di accrescere la consapevolezza delle nostre persone su questi temi.

Lo percepiamo nelle parole dei colleghi Sky che si sono messi a disposizione con le mani nella terra: “Credo che iniziative come questa siano la strada giusta per far sì che il cambiamento, che tutti desideriamo per le nostre città, avvenga e parta proprio dai piccoli gesti di tante persone”. Sull’onda anche dell’entusiasmo generato dall’attività di piantumazione, abbiamo rinnovato il nostro impegno, nei confronti di quello che orami possiamo considerare il nostro “giardino”, anche in occasione dell’Earth Day 2022 con una ulteriore attività di volontariato: “Clean Up Parco Porto di Mare”.

Si tratta di un’iniziativa, in collaborazione con Italia Nostra, per sensibilizzare le persone sui temi ambientali, in particolare sulla tutela delle aree verdi della città di Milano. Per questo ci siamo impegnati nella pulizia di parte del parco Porto di Mare che sarà destinata alla realizzazione di una pista ciclabile.

La tutela dell’ambiente non è il solo pillar su cui poggia la strategia di sostenibilità di Sky. Il gruppo Sky si è infatti recentemente impegnato a contrastare il divario digitale e a sviluppare le competenze digitali di 250 mila persone attraverso lo stanziamento di un fondo da 10 milioni di sterline contro l’esclusione digitale.

Il programma ‘Sky Up’ si prefigge l’obiettivo ambizioso di migliorare le competenze degli emarginati digitali con dif- ficoltà di accesso a tecnologia, connessione Internet e formazione. Perché da sempre crediamo in un mondo migliore e il nostro impegno continua.

Il modello di inclusione di Crédit Agricole Italia a vantaggio dei territori

a cura della Redazione

Città inclusive che possano garantire un giusto equilibrio dei tempi, valorizzando le passioni e le esigenze di tutti. Un obiettivo sfidante che di certo coinvolge le amministrazioni ma che è sempre di più condiviso dalle aziende.

Ne è un esempio il Gruppo Crédit Agricole in Italia, player bancario che opera nel nostro Paese da oltre 40 anni, al servizio di 5,2 milioni di clienti, con 1.600 punti vendita e oltre 17.300 collaboratori e che fa dell’inclusione e della sostenibilità i principi cardine del suo agire quotidiano.

Molte, ad esempio, le iniziative di inclusione promosse dal Gruppo Bancario Crédit Agricole Italia che di recente ha confermato la sua sensibilità per i temi di D&I associandosi alla Onlus “Parks – Liberi e Uguali” che promuove il valore della diversità con focus specifico sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Da tempo inoltre Crédit Agricole Italia ha attivato al suo interno un Programma di Gender Inclusion, Change Management e Work-Life Balance, con particolare attenzione al rispetto di tutte le diversità e al supporto alla genitorialità e ai caregivers, sono alcuni dei punti cardine del programma, oltre ad azioni dedicate all’Equity & Value per assicurare alle donne in azienda pari opportunità sul piano retributivo e di ruolo riducendo progressivamente il Gender Pay Gap e promuovendo nuovi Role Model Femminili.

Il programma prevede anche percorsi formativi ad hoc e di sviluppo per promuovere la parità di genere valorizzando e promuovendo le potenzialità e competenze femminili in azienda.

Linee di condotta che ricadono sui territori di presenza del Gruppo grazie ad azioni concrete volte a supportare il valore dell’inclusione all’interno delle comunità.

In collaborazione con Save the Children, Crédit Agricole Italia, insieme alle società del Gruppo attive nel nostro Paese, sostiene l’iniziativa “Connessioni Digitali” per contrastare la povertà educativa dei più giovani, migliorandone le competenze digitali e mettendo a loro disposizione spazi di supporto e strumenti avanzati. Sulla stessa linea il Gruppo promuove, in collaborazione con ELIS, il Progetto Scuole, un programma di Inclusione Sociale biennale che copre da nord a sud tutto lo stivale per un totale di 26 classi di scuole superiori in 13 città, coinvolgendo oltre 1.900 studenti dai 16 ai 19 anni.

Un impegno importante al quale si affiancano le iniziative promosse attraverso Crowd For Life (www.ca-crowdforlife.it), il portale di crowdfunding del Gruppo che, nello scorso 2021, ha attivato la call “Crédit Agricole For Future”, finalizzata a sostenere progetti a favore di educazione, inclusione e riduzione delle diseguaglianze permettendo ad 11 realtà territoriali di attivare una raccolta fondi il cui risultato finale è stato raddop- piato delle donazioni del Gruppo Crédit Agricole in Italia.

In partnership con Legambiente, inoltre, il Gruppo promuove due progetti destinati a potenziare l’inclusività dei propri territori. Il primo, Volontari di Valore, è un progetto di volontariato aziendale che coinvolge i colleghi nella tutela e nel ripristino di parchi, spiagge, centri storici e spazi pubblici delle città italiane. L’iniziativa, nel 2021, ha coinvolto ben 10 città: Milano, Firenze, Brescia, Torino, Parma, Napoli, Genova, Catania, Venezia e Sernio (Sondrio). Il secondo progetto è New Life e sviluppa l’economia circolare quale strumento chiave per rispondere ai nuovi bisogni sociali emersi a seguito dell’emergenza pandemica.


Inclusione a 360° con programmi manageriali, crowdfunding, iniziative concrete sui territori un headquarter sostenibile con vantaggi per tutta la comunità


Il tema dell’economia circolare è caro a Crédit Agricole e promosso anche a Nord Est, dove il Gruppo Bancario opera attraverso Crédit Agricole FriulAdria al fianco di Cirqular, iniziativa ideata dalla cooperativa veronese di moda etica Quid - laboratorio sartoriale che occupa donne in condizioni di svantaggio o fragilità - utilizzando tessuti di fine serie, stock invenduti o donati da aziende tessili e da brand della moda internazionale.

Sostenere le realtà locali che promuovo l’inclusione con iniziative concrete è quindi una mission per Il Gruppo Bancario Crédit Agricole Italia che a Padova, tra le tante iniziative, ha affiancato grazie a Crédit Agricole FriulAdria anche l’avvio di un bistrot inclusivo a cura della Cooperativa Sociale Giovani e Amici impegnata nell’ambito della disabilità e promosso l’acquisto di panettoni solidali per i dipendenti, prodotti dalla Pasticceria Giotto, cooperativa sociale che opera all’interno della Casa di Reclusione Due Palazzi offrendo ai detenuti un’opportunità di riscatto personale e di reinserimento sociale attraverso l’apprendimento di un mestiere.

Ma è a Parma che la filosofia inclusiva del gruppo diventa ancora più tangibile. Qui, nel 2018, sono stati inaugurati i nuovi edifici di Crédit Agricole Green Life. Sede di lavoro per circa 1600 persone, l’headquarter è parte integrante di una strategia aziendale fondata su tre pilastri: transizione energetica e protezione dell’ambiente, sostegno alle economie locali, inclusione e conciliazione.

Un asilo nido con parte dei posti a disposizione delle famiglie provenienti dalle graduatorie comunali, un parco di 70 mila metri quadrati con ben 700 piante che rappresenta un vero polmone verde nella prima periferia di Parma, colonnine Leasys per la ricarica dei veicoli elettrici, postazioni di bike sharing in prossimità della Sede e rinnovate piste ciclabili che ne circondano il perimetro e lo collegano al centro sono alcuni dei vantaggi più diretti per il territorio generati dall’investimento del Gruppo, gli ultimi due resi possibili dall’Amministrazione Comunale grazie al dialogo e alla consolidata collaborazione tra Crédit Agricole Italia e Comune di Parma.

I nuovi edifici, 12mila metri quadri complessivi distribuiti su più livelli per minimizzare la superficie edificata, sono completamente sostenibili, immersi nel verde e dotati delle più moderne tecnologie con vantaggi sensibili per chi vi lavora, con postazioni di lavoro disposte in open space multifunzionali e wireless anche nel parco per poter lavorare all’aperto.

Ma è nel suo essere hub di comportamenti virtuosi che Crédit Agricole Green Life esprime la sua natura inclusiva, promuovendo nuove filosofie di lavoro e offrendo servizi di worklife balance ai colleghi che qui vengono sperimentate per poi essere diffuse anche alle altre sedi del gruppo, proprio come nel caso della Lavanderia Solidale, servizio ormai attivo anche nelle Sedi Crédit Agricole Italia di Milano e Piacenza che, non solo aiuta la conciliazione dei tempi casa-lavoro, ma permette anche l’assunzione di persone con disabilità che sono coinvolte in percorsi di orientamento al lavoro grazie alla partnership con la cooperativa sociale Bi-ricc@ e all’Agenzia Regionale per il Lavoro.

Giovani di Palermo sognano insieme (e costruiscono) il proprio futuro

a cura della Redazione

Il sogno è la porta della realizzazione. Immaginare insieme ad altri, sin da bambini, vuol dire iniziare a costruire, giorno dopo giorno, nuove possibilità. Nasce dal sogno di una società più cooperativa “Traiettorie urbane”, il nuovo progetto promosso da Edison, con la Fondazione EOS - Edison Orizzonte Sociale e l’impresa sociale Con i Bambini che aiuta gli adolescenti di Palermo a costruire il loro futuro, rafforzando l’offerta sportiva e culturale rivolta a ragazzi e ragazze di età compresa tra gli 11 e i 17 anni e alle loro famiglie che vivono in sei quartieri della città.

“Questo è il progetto bandiera della Fondazione – racconta Francesca Magliulo, direttrice – Al momento della nostra nascita, a gennaio 2021, ci siamo chiesti chi fossimo e come volevamo operare nella società. Dopo un anno di riflessioni è nato Traiettorie urbane. Questo progetto è ciò che siamo”. Coprogettare è il mantra di Fondazione Eos, segno di una volontà di fare e lavoro sul territorio, con le persone, le associazioni, le istituzioni. “Non voglia- mo essere una semplice fondazione erogativa – continua Magliulo - Per noi è importante agire e riunione più associazioni e istituzioni sul medesimo tavolo di lavoro. Vogliamo creare un sistemare per raggiungere un comune obiettivo”. Progettare insieme per crescere insieme. “Trattorie urbane” vuole stimolare negli adolescenti consapevolezza e capacità di immaginare e costruirsi un futuro. È significativo farlo in Italia, un Paese che è caratterizzato da uno dei maggiori tassi in Europa di ragazzi che non studiano, non lavorano e non cercano un impiego – i cd NEET che sono il 25% delle persone tra i 15 e 19 anni, dove la povertà educativa e sociale è in aumento, soprattutto per i nuclei a basso reddito e nel Sud Italia, dove nel 2021 l’abbandono scolastico si è registrato tra il 13,5% tra i 18 e 24 anni. Qui, anche a causa della pandemia da coronavirus, negli ultimi due anni si sono aggravate le condizioni psico-sociali dei più giovani con un incremento di atti di autolesionismo, ansia, insonnia e depressione.

I bambini e i ragazzi fanno fatica a sognare: vivono in un contesto creato da noi adulti, in cui il domani è sempre più incerto: dai cambiamenti climatici alla pandemia dove li abbiamo privati di tutto quello di cui avevano bisogno, chiudendoli a singhiozzo e la guerra. “Non sognare significa rinunciare a un futuro e a costruirlo, rinunciare ad avere aspirazioni. Il danno lo vedremo tra qualche anno e sarà molto pesante”.

“I ragazzi e le ragazze hanno bisogno di reimparare a sognare e di farlo insieme, con i coetanei e con gli adulti”, commenta Francesca Magliulo. Le attività serviranno a pre- parare i ragazzi ad affrontare la complessità, a scegliere con maggior consapevolezza il proprio percorso di studi e di vita, oltre gli stereotipi e i limiti autoimposti o imposti dal contesto. “Rendere partecipi i ragazzi, non solo ascoltarli, aiutarli a sviluppare la capacità di guardare al futuro ma anche di leggere il presente in modo critico e autonomo, trovare soluzioni condivise per sé e la comunità, costruire relazioni sane tra pari e tra adulti”.


“Vogliamo promuovere la crescita sociale dei ragazzi e delle ragazze di Palermo, abbattendo le barriere fisiche e sociali della città per renderli protagonisti nel disegno delle loro “traiettorie di vita”.


Un intento che unisce le energie di associazioni locali attive da tempo, con la prospettiva di costruire un percorso di evoluzione della comunità attraverso lo scambio di competenze, il potenziamento dei centri di aggregazione e il rafforzamento della rete con benefici duraturi per le nuove generazioni e più in generale per la comunità locale.

Perché Palermo?

“Edison ha una forte presenza in Sicilia, per numero di clienti, per lo sviluppo di nuove attività industriali, di impianti rinnovabili. In questa terra i tassi di abbandono scolasti- co raddoppiano la media nazionale”, spiega la direttrice di Fondazione EOS. “Ma c’è anche un altro volto della Sicilia: qui abbiamo trovato un numeroso gruppo di associazioni attive che sanno fare rete”. Ora a Danisinni, nella Zisa, a Noce, a Kalsa, a Sant’Erasmo a Romagnolo, quartieri di Palermo, si respira una positiva aria dal profumo possibilità. La presentazione del progetto è avvenuta il 7 aprile all’Ecomuseo Mare Memoria Viva a Palermo alla presenza, tra gli altri, di Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, Nicola Monti, presidente della Fondazione EOS e amministratore delegato di Edison Spa, Francesca Magliulo, direttrice della Fondazione EOS. L’incontro, patrocinato da ASVIS, è stato preceduto da un “attraversamento” dei quartieri della città guidato dai ragazzi del Liceo Statale “G. A. De Cosmi”: una “passeggiata urbana” che ha preso le mosse da Piazza Magione e che ha condotto alla scoperta dei luoghi e delle realtà del terzo settore protagoniste di Traiettorie Urbane fino all’arrivo all’Ecomuseo Mare Memoria Viva, con cui è stato dato simbolicamente avvio a quello che sarà un lungo percorso di abbattimento delle barriere e di riappropriazione degli spazi pubblici dei quartieri.
L’iniziativa “Traiettorie urbane” è sostenuta dalla Fondazione EOS con un contributo di 850 mila euro, in cofinanzia- mento con l’impresa sociale Con i Bambini, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, per un valore complessivo di circa 1,7 milioni di euro.

«Per Edison ‘fare impresa’ vuol dire agire con responsabilità nell’interesse dei territori in cui è presente con le sue attività» - ha commentato Nicola Monti, amministratore delegato Edison e presidente della Fondazione EOS. «A un anno dalla nascita della Fondazione EOS rafforziamo concretamente il nostro ruolo abilitatore del cambiamento verso un modello di sviluppo sostenibile, dove le nostre persone contribuiscono con la propria competenza e il proprio impegno all’innovazione sociale della comunità».

L’avvio del progetto nei quartieri storici della città rappresenta un’importante occasione per Palermo. Per Marco Rossi-Doria, presidente dell’impresa sociale Con i Bambini, è «una promessa: insieme ci impegniamo a lavorare sull’in- novazione in territori difficili per quella che è un’iniziativa dello sviluppo integrato educativo locale. L’obiettivo è rendere concreta la partecipazione e il protagonismo delle famiglie e dei bambini nelle città del Sud a partire da Palermo, andando ad agire tra le attività svolte a scuola e fuori dalla scuola, rigenerando le azioni sulla memoria collettiva e impegnan- dosi sulla narrazione e sul protagonismo dei ragazzi». Attraverso Traiettorie urbane, la Fondazione EOS e Con i Bambini si impegnano per i prossimi tre anni, anche grazie al supporto di attori locali - tra cui storici Enti del Terzo Settore radicati sul territorio e l’Ufficio comunale del Garante dei Diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza -, a implementare una serie di iniziative in ambito sportivo e culturale che consentiranno ai più giovani di rafforzare il loro senso di appartenenza al territorio e di favorire il loro spirito di socialità attraverso la trasmissione di valori quali la solidarietà, il lavoro di squadra, il contrasto alla prevaricazione e l’individualismo. Tra le attività, che saranno svolte nel triennio, i laboratori per la creazione di film collettivi che raccontano la vita nei quartieri e di guide rivolte ai professionisti del cinema sulle potenziali location cinematografiche dei quartieri; le escursioni nelle aree naturalistiche urbane alla scoperta di percorsi inediti per i quali i partecipanti prepareranno una nuova segnaletica; la realizzazione di rassegne culturali ideate dai ragazzi e rivolte a un pubblico di giovani; la creazione di nuovi campi da gioco, anche smontabili e itineranti, per valorizzare nuovi spazi di aggregazione.

Quale nuova strada all’orizzonte per Fondazione EOS?

“L’obiettivo è la replicabilità”, conclude Francesca Magliulo “vogliamo portare il modello cooperativo di Trattorie urbane in altri territori, soprattutto del sud Italia, adattandolo in base alle caratteristiche di ciascuna comunità. Le attività previste dal progetto sono molto interessanti ma il vero valore è la connessione tra tanti quartieri e aree urbane, tra piccole e meno piccole associazioni, è il fare sistema per un obiettivo comune, di lungo termine, che non rimanga solo una buona pratica con una diffusione a macchia di leopardo”.

di Simona Piva

Quando penso a una città inclusiva, la mente corre immediatamente verso la mia città di origine, Bologna: città universitaria per eccellenza, città famosa per l’accoglienza e la buona cucina, città abituata a essere un crocevia di persone provenienti da ogni parte d’Italia, da ogni parte d’Europa, da ogni parte del mondo. Una città che non ha mai chiuso la porta in faccia a nessuno e che accoglie, ogni giorno, le persone con un sorriso.

Vi consiglio di vedere su YouTube il video “E tu, che faccia hai?” di Luce Narrante, uno sguardo ironico e leggero sul tema del razzismo. Uno stimolo alla riflessione, al porsi almeno una volta una domanda semplice quanto complessa: cosa sono i confini? Un video in cui ragazzi nati in Italia da genitori provenienti dalle più svariate nazioni, rispondono alle domande dello speaker e la risposta è una sola: non esistono differenze. Questa è la mia Bologna. Quando penso invece alla mia città di adozione, Firenze, alla città in cui ha sede l’azienda per cui lavoro, la mente corre inevitabilmente verso lo Spazio Alfieri, un piccolo cinema teatro che è diventato, quasi per caso, il luogo simbolo dei nostri incontri sulla D&I. Il servizio di ristorazione del Teatro Alfieri è gestito da una cooperativa sociale di ragazzi con disabilità psichiche, I ragazzi di sipario, nata per iniziativa di alcuni genitori che hanno voluto dare un efficacissimo supporto al futuro dei loro figli. L’obiettivo dell’Associazione Sipario è quella di creare una reale e concreta opportunità di lavoro a persone con disabilità intellettiva o in situazione di fragilità, favorirne l’integrazione e l’inclusione sociale attraverso il lavoro e la gestione in forma associata dell’impresa e, così facendo, contribuire al benessere dell’intera collettività, sostenendo i valori di promozione umana e integrazione sociale dei cittadini; questi ragazzi, se sostenuti, stimolati e valorizzati, sono in grado di mostrare, infatti, un potenziale che altrimenti rimarrebbe sopito. Così facendo, si legge nel loro sito, vorremo riuscire a:

Promuovere la pari dignità del lavoro svolto da persone con disabilità intellettiva, garantendo qualità, competenza ed efficienza Promuovere il potenziale individuale e sociale delle persone con disabilità intellettiva, favorire in particolare l’integrazione sociale con il lavoro, attraverso la valorizzazione e la partecipazione diretta delle persone stesse e/o delle loro famiglie, dove presenti, e il coinvolgimento dei diversi portatori di interesse del territorio.

Promuovere e attuare politiche di economia etica ovvero valorizzare, attraverso gli strumenti economici, finanziari e imprenditoriali, la dimensione solidaristica e mutualistica che fa della cooperazione sociale “il valore aggiunto del suo essere impresa al servizio della comunità”

Promuovere, avviare e sostenere proposte di tipo civile, formativo e culturale per lo sviluppo e l’approfondimento di tematiche e problematiche sociali, come l’inserimento lavorativo di persone con disabilità intellettiva

Si tratta di un progetto lodevole e ambizioso che unisce solidarietà e cooperazione.


Come mi sarei dovuta comportare? Che cosa avrei dovuto fare o dire?

Dubbi dissolti come una bolla di sapone una volta arrivata sul posto: “la diversa” ero io! Io con i miei timori, io con i miei infondati conflitti interiori ...sono loro, i meravigliosi ragazzi di Sipario,

che mi hanno accolta nel loro mondo con il sorriso, con la loro disarmante semplicità, con il loro fiume di parole...

...faremo della nostra nuova visione della vita una utopia possibile, perché noi ragazzi di Sipario abbiamo un sogno, sogniamo ...un mondo di uomini e donne animati da speranza e fiducia nel futuro, con la volontà di fare ciascuno la propria parte per costruirne un pezzo, mettendosi insieme e collegandosi tra loro con intenzionalità e progettualità... una comunità capace di adoperarsi per un mondo migliore... un mondo dove uomini e donne, con le loro fragilità e risorse, lavorino insieme in spirito di servizio per la costruzione del bene comune, un mondo in cui le diversità siano conosciute, accolte, valorizzate e rispettate.


Ricorderò sempre la prima volta in cui sono entrata allo Spazio Alfieri: dovevo incontrare il referente, il Sig. Marco, il fantastico papà di uno dei ragazzi della Cooperativa, per definire il menù per un evento serale dedicato alla disabilità. Ricordo ancora i miei dubbi, i miei timori: come mi sarei dovuta comportare? Che cosa avrei dovuto fare o dire? Dubbi dissolti come una bolla di sapone una volta arrivata sul posto: “la diversa” ero io! Io con i miei timori, io con i miei infondati conflitti interiori ...sono loro, i meravigliosi ragazzi di Sipario, che mi hanno accolta nel loro mondo con il sorriso, con la loro disarmante semplicità, con il loro fiume di parole... da quel giorno quel piccolissimo teatro nel cuore di Firenze è diventato il nostro luogo del sorriso, il nostro luogo dell’accoglienza, il nostro simbolo dell’inclusione. Purtroppo la pandemia non ha risparmiato nemmeno i Ragaz-zi di Sipario: la chiusura prolungata dei servizi di ristorazione ha messo a dura prova le loro risorse e li ha costretti a un lungo periodo di inattività. E’ per questo motivo che abbiamo risposto con grande entusiasmo alla loro richiesta di aiuto: donazione di pc, smartphone e di altro materiale informatico che potesse permettere loro di mantenersi in contatto e soprattutto di restare attivi e aggiornati duranti i mesi di chiu- sura; corso HACCP.... è stato entusiasmante ed emozionante vedere questi ragazzi seguire con grande impegno e volontà il percorso, sotto la guida di una bravissima e coinvolgente docente, che li ha accompagnati per mano fino al test finale e al conseguimento della certificazione, un’altra tappa fon- damentale per il loro processo di responsabilizzazione e di autonomia. E siamo già all’opera per aggiungere un ulteriore tassello: un corso di educazione finanziaria, organizzato con il supporto dei colleghi, per fornire ai ragazzi gli strumenti per comprendere il corretto uso del denaro, competenza fondamentale per la loro attività commerciale.

E, soprattutto, non vediamo l’ora di poter organizzare nuovamente i nostri eventi insieme a questi meravigliosi ragazzi, ormai diventati parte integrante della grande famiglia di Findomestic. Un grazie immenso ai genitori, in primis al Signor Marco, che sostengono e stimolano i loro figli a fare sempre meglio per essere autonomi e acquisire le competenze necessarie; un grazie ai meravigliosi Ragazzi di Sipario che ci hanno donato una grande opportunità: entrare nel loro mondo, un mondo fatto di semplicità, sorrisi, spontaneità... un percorso che ci ha permesso di abbattere tanti muri. Grazie di cuore ragazzi!

Simona Piva

diversity & people care officer presso Findomestic HR project manager

Registrazione Tribunale di Bergamo n° 04 del 09 Aprile 2018, sede legale via XXIV maggio 8, 24128 BG, P.IVA 03930140169. Impaginazione e stampa a cura di Sestante Editore Srl. Copyright: tutto il materiale sottoscritto dalla redazione e dai nostri collaboratori è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione/Non commerciale/Condividi allo stesso modo 3.0/. Può essere riprodotto a patto di citare DIVERCITY magazine, di condividerlo con la stessa licenza e di non usarlo per fini commerciali.
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